Roma«Presidente, adesso smettila di essere troppo democratico e voler sentire le campane di tutti. Prendi tu una decisione e noi ti seguiamo». Fini è in piedi, appoggiato al tavolo, le braccia conserte, accigliato. Accanto a sé i fedelissimi nella seconda riunione, nel giro di una settimana, nella sala Tatarella al quinto piano di Montecitorio. Il primo blindatissimo summit è quello del 20 aprile, terminato con il documento di solidarietà a Fini cui ha fatto seguito il controdocumento dei 75 parlamentari ex aennini, fedeli al Pdl senza se e senza ma. Il secondo conclave è quello del pomeriggio del 26 aprile, aperto sulle ferite ancora sanguinanti del plateale scontro durante la direzione nazionale del partito. Quel ditino alzato e il finiano sfogo del «Che fai mi cacci?» e la berlusconiana accusa «Hai detto tu di essere pronto a fare gruppi autonomi e di esserti pentito di aver fondato il Pdl» sono ancora negli occhi e nelle orecchie di tutti i «frondisti».
Quindi che fare? Fini vuol sondare personalmente le posizioni dei suoi e toccare con mano quello che è ormai palese: il blocco che sta con lui è tuttaltro che unito. Personalismi, ambizioni, correntismo, inquinano gli umori delle sue truppe divise tra falchi e colombe, radicali e moderati, nostalgici e modernisti. Con Fini ma con motivazioni e sfumature diverse: cè chi punta allo strappo in nome di un orgoglio missino; cè chi pigia sul tasto antilega e sudista; chi cavalca il malumore del partito che non cè; chi ce lha con i vecchi colonnelli troppo filo Cavaliere; tutti contro il Berlusconi-monarca e il berlusconismo.
Fini ascolta tutti ma tentenna. Registra i malumori interni nei confronti dellabile ma ambizioso e sovraesposto Bocchino, incassa qualche critica da chi ora gli suggerisce di non tirar troppo la corda ma tace. I suoi, un po disorientati, lo scuotono: «Adesso basta. Prendi in mano tu la situazione». Il freddo Fini è glaciale ma sereno, sa già qual è la linea da tenere, sa già cosa deve fare: basso profilo, stop alle uscite incendiarie, andrà in tv a spiegare che le critiche sono soltanto politiche e non personali perché «deve passare il messaggio che noi siamo fedeli, corretti, con il Pdl e non contro. Guai se ci dipingono come traditori e sabotatori, soprattutto sul programma di governo. No alle imboscate, in primis sul ddl intercettazioni: compatti e coperti tutti». Daltronde, è il ragionamento di Fini, gli elettori non capirebbero se ci mettiamo di traverso. Sul resto... Beh... Si discuterà di volta in volta. Lappoggio non è scontato e basta cambiali in bianco. Si discuterà e diremo la nostra. La «nostra» contro la «loro», a ufficializzare la nascita di una minoranza nel partito che farà le pulci su qualsiasi provvedimento e che dovrà essere rispettata e riconosciuta. Fini sa che, tuttavia, la minoranza non deve frantumarsi e, vista leterogeneità dei suoi, il rischio è dietro langolo. Ecco perché, anche su questo fronte detta la linea: ci riuniremo e faremo il punto ogni sette giorni. Lì prenderemo le nostre decisioni e guai a chi non si attiene agli ordini impartiti.
La strategia è attendista: non far precipitare le cose, non prestare il fianco alle accuse di tradimento, abbassare i toni. E la prima mossa sè già consumata con la richiesta del sacrificio a Bocchino.
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