«I gay non hanno diritto di diventare preti»

Il candidato al sacerdozio deve aver raggiunto la maturità affettiva

Andrea Tornielli

da Roma

«La Chiesa non può ammettere al sacerdozio coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta “cultura gay”». È il passaggio centrale del travagliato documento costato anni di lavoro e moltissime stesure, che il Vaticano pubblicherà il 29 novembre per ribadire il suo no all’ordinazione di persone omosessuali. Puntualizzazione necessaria dopo gli scandali avvenuti in vari Paesi, specialmente negli Usa. Il Giornale ha potuto leggere in anteprima il testo dell’«Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al sacerdozio e agli ordini sacri», preparato dalla Congregazione per l’educazione cattolica, datato 4 novembre, firmato dal cardinale Zenon Grocholewski e approvato specificamente da Papa Benedetto XVI lo scorso 31 agosto.
Il documento, a fronte di un titolo molto esteso, è brevissimo: appena otto pagine. Oltre all’introduzione, ci sono tre capitoletti intitolati «Maturità affettiva e paternità spirituale», «Omosessualità e ministero ordinato» e «Discernimento dell’idoneità dei candidati da parte della Chiesa». Nel testo si legge che «non esiste un diritto a ricevere l’ordinazione» e che «compete alla Chiesa discernere l’idoneità» dei futuri preti valutando se sono «in possesso delle facoltà richieste». Il vescovo, il rettore del seminario o il superiore dell’ordine religioso devono «verificare tra l’altro che sia stata raggiunta la maturità affettiva» e dare un «giudizio moralmente certo sulle qualità» del candidato.
Nel caso di «un dubbio serio», si legge ancora nell’Istruzione vaticana, il candidato non deve essere ammesso all’ordine. In un paragrafo è descritta la responsabilità del direttore spirituale, che «pur vincolato dal segreto», è chiamato a verificare se sia praticata la castità e se sia stata raggiunta la «maturità affettiva», oltre ad accertarsi che il candidato «non abbia disturbi sessuali incompatibili con il sacerdozio».
Il Vaticano ribadisce che le persone omosessuali vanno «accolte con rispetto e delicatezza» e che bisogna evitare «ogni marchio di discriminazione» nei loro confronti. Ma «la Chiesa - si legge ancora nel documento - pur rispettando profondamente queste persone, non può ammettere al sacerdozio coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta “cultura gay”», perché si tratta di una «situazione che ostacola un corretto relazionarsi con uomini e donne». In questo caso, il direttore spirituale «ha l’obbligo di coscienza di dissuadere» il candidato dal proseguire il suo percorso di formazione in seminario e si fa anche appello alla coscienza stessa del seminarista perché rinunci.
«Le tendenze che fossero solo espressione di un problema transitorio, come quello dell’adolescenza non ancora compiuta - afferma ancora l’Istruzione vaticana - devono essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale».

Nella conclusione del documento si afferma che «questo discernimento deve essere fatto alla luce della concezione del sacerdozio ministeriale in concordanza con l’insegnamento della Chiesa» e si invitano i vescovi e i superiori generali a vigilare affinché le «norme siano osservate fedelmente».

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