I ginecologi lombardi: non si può obbligare l'ospedale a utilizzare la RU486

É il parere del presidente della Società Lombarda di Ostetricia e Ginecologia, il professor Luigi Frigerio.Molte le criticità connesse all'uso della pillola abortiva che richiede risorse aggiuntive e pone il problema dell'insufficienza dei posti letto.

Nessuna legge può obbligare un ospedale a somministrare la pillola abortiva. Questo il parere del presidente della Società Lombarda di Ostetricia e Ginecologia, il professor Luigi Frigerio. In attesa che la Commissione per la definizione delle linee guida e il monitoraggio sull'uso della RU486, insediatasi due giorni fa al ministero della Salute, si pronunci in modo definitivo sulle modalità di somministrazione del farmaco, si assiste a comportamenti addirittura opposti da parte delle Regioni.
Il governo ed il Consiglio superiore di Sanità hanno ribadito la necessità di assumere la pillola in regime di ricovero ordinario, trattenendo la paziente in ospedale fino al compimento dell'interruzione di gravidanza, ovvero fino all'espulsione del feto. Nessuno però può essere trattenuto in ospedale contro la propria volontà. E dunque ad esempio in Puglia la donna che ha preso la RU486 ha firmato ed è uscita anche se poi tornerà in ospedale per prendere la seconda dose della medicina.
Molte le regioni che hanno deciso di attendere maggiori chiarimenti prima di partire con la somministrazione della RU486. Tra queste la Lombardia. Ieri il professor Frigerio ha indirizzato un messaggio a Carlo Lucchina, il direttore generale dell'Assessorato alla Sanità, proprio nel tentativo di mettere dei paletti precisi sull'impiego in ospedale della Ru486. La Società lombarda di Ostetricia e Ginecologia sottolinea nel messaggio una serie di problemi deontologici e organizzativi irrisolti che riguardano le procedure per l'aborto farmacologico.
Non esiste un "diritto all'aborto farmacologico", osserva il professor Frigerio, tenendo conto anche del fatto che la somministrazione della RU486 prevede cautele e controindicazioni specifiche. E dunque nessun ospedale può sentirsi obbligato a somministrare la Ru486.
La legge vigente, la 194, prevede che l'aborto venga eseguito in regime di ricovero a tutela della salute della donna. Ma nel caso dell'aborto farmacologico i tempi si allungano in modo indefinito: potrebbero essere necessari tre forse anche quattro giorni di degenza. E dunque, prosegue Frigerio , a questo punto si propone il tema della insufficienza dei letti. Non solo anche un problema di qualità e sicurezza che «richiederà una riflessione sulle risorse disponibili».
I medici poi sono impotenti rispetto alla eventuale decisione della paziente di uscire dall'ospedale. Nessuno può essere trattenuto contro la sua volontà. Dunque oltretutto «se la donna decide per la dimissione contro il parere dei sanitari si propone pure la necessità di controlli clinici in ambulatorio e al pronto soccorso che non possono essere risolti senza risorse aggiuntive».
I ginecologi lombardi poi avvertono le pazienti «l'aborto con la Ru486 non è facile e indolore come qualcuno potrebbe credere». Il farmaco, ricordano i medici provoca «frequentemente coliche addominali con nausea, vomito e altri sintomi correlati». Anche dal punto di vista psicologico l'aborto farmacologico non è più "leggero" rispetto a quello chirurgico. La Ru486 comporta un onere psicologico tutt'altro che lieve dal momento che i tempi dell' aborto sono più lunghi, fino a giorni da trascorrere in ospedale.

Di fronte a tutte queste criticità cliniche connesse all'uso della pillola abortiva, concludono i ginecologi lombardi, «non si può obbligare l'ospedale a utilizzarla, senza nemmeno aver prima affrontato i problemi deontologici e di risorse».

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