I lettori negano l’«assoluzione» al sacerdote duro, senza carità

Caro Lussana, dopo mesi in attesa di trovare 10 giusti per la città, mi pare di poterti dire che qualcosa si muove. Non ci sarà rottura del sistema ma qualche significativa scossa avverrà nelle falde profonde del potere. Scatta un’ora dei giovani onesti e coraggiosi, se sapranno mediare con la parte vivace e attiva dei vecchi che contano. Il bene comune non è di parte, in ogni senso e procura una vera indipendenza che non sta nel presumere di valere fuori dei partiti di governo o addirittura del sistema. Se, invece, i «giovani» e «nuovi» tenteranno lo scontro frontale, del tipo che don Farinella, da prete, delira di fare col suo sistema, entreranno nel novero delle piccole vittime, rami secchi per «rostire» castagne. Quello che, infatti, vedo non è un'increspatura di superficie, qualche onda anomala effimera o lo sciacquio di spume effimere sulle rocce della terraferma. Ora ruggisce un leone come Garrone per spazi adeguati contro il declino sportivo, Bertone e Bagnasco, due cardinali di peso massimo nella chiesa di mondo, insieme scrivono una lettera a don Farinella, mentre il leopardo del ponente ma nazionale Scajola mette insieme Biasotti e Musso anzitempo, homines novi di mente libera nel ceto politico genovese e incita alla battaglia alcuni forzisti di flebile logorrea. Quando questi maggiorenti parlano con chiarezza senza interpreti minori confusi e incerti, anche i residui apparati si muovono. Persino i ds, a regime in città, possono osare il colpo Basso su Cofferati e sfiorite margherite, mentre Casini tenta di far centro mobile con Monteleone. Burlando ora può chiudere la partita della nuova stagione della Vincenzi, alle sue ultime mosse con Marino, dopo rim-pasti, notti bianche e gaypride in una città di diritti onnivori di sostanza onirica. Dopo annunci e varie defatiganti altalene di tracciati, consultazioni e progetti parigini di moschea al Lagaccio, solo la destra ha consentito una minigronda, mentre si sgretolano i consiglieri comunali di maggioranza. Qualcosa insomma adesso si muove nelle falde profonde del potere genovese. Non siamo fermi al trito bailamme dei piccoli alla ricerca di spazi e tutele tra le strettoie della antiche spartizioni. Ricordo la spinta di Garrone, agilissimo e preventivo, a una lista civica di Zara proveniente, anche se in confindustria, dalle prudenti mosse dei manager di stato. Di ciò si risente parlare oggi da Musso che scosse fino al limite le stagionate ambizioni della Vincenzi. L'onda lunga della vicenda Novi che fa pesare la sua integrità morale nella tana dei serpenti del porto assistito e protetto. E altre scosse verranno, forse decisive, dai pasti e rimpasti provocate dalle indagini sulle mense. Un segnale in questo senso è dato persino, in obliquo, dai crudi lamenti d'amante tradito di Alberto Gagliardi che vede solo l'asse Scajola-Burlando: se tutte le onde grandi rientrano sarà l'asse residuo con un riassetto in tono minore, in comune, nel Pd e nel Pdl. Ora tutti vedono che accanto a leoni, cardinali e leopardi si muove insieme un ceto giovane, agile e di grande competenza, nella ricerca e nell'industria di avanguardia, che trasversalmente scompagina la solita partita. I rubinetti romani sono a secco e Batini non governa più la compagnia unica. Instabile appare l'assetto di aeroporto, terzo valico, Amt e metropolitana, nuovo sviluppo, disoccupazione, fuga dei giovani, del turismo, della cultura, Carlo Felice e Musei e centro storico, delle manutenzioni grandi e piccole della vivibilità minimale. Riassetto in atto dei centri finanziari e bancari dietro le quinte. Chi analizzava Genova dalle esplicite dichiarazione dei maggiorenti della città cadeva sovente fuori del seminato. Chi contava sapeva che alla fine, nelle professioni e negli appalti, sapeva che potenti segretari, alti burocrati finora intoccabili, nel privato e nel pubblico, gestivano gli accomodamenti dentro un tradizionale equilibrio. I maggiorenti non dichiaravano il loro vero pensiero, già deliberato e consolidato in sedi riservate. È la tradizione sempre rinnovata ma rigida delle grandi famiglie e aggregati d'albergo della repubblica di Maria regina. Siri, Taviani, Costa, ineguagliati e forse ineguagliabili per eccellenza d'ingegno e senso del bene comune della città, pensavano e agivano inoltre ai livelli centrali, le sedi riservate annuivano. Essi pure parlavano all'esterno, per agevolare la fatica democratica delle istituzioni di governo rappresentativo. Essi avevano da ricostruire una città dopo la guerra. Poi si è dovuto gestire il convulso e confuso smantellamento dell'industria di stato senza distruggere l'indirizzo industriale e produttivo. Solo adesso, Garrone, Bagnasco e Scajola hanno un peso non solo locale. Il patrimonio artistico vive un'eccellente stagione di curatori. E ora è in gioco proprio un nuovo equilibrio tra vocazione industriale, attrazione storica, tradizione cristiana ed estetica con commercio e servizi vari d'immagine e di cultura universitaria e media. Ancora fino a qualche settimana fa due libri, uno di Ferruccio Sansa sulla politica edilizia e uno di Camillo Arcuri sulle ultime vicende del porto, sono, forse, stati letti in segreto ma nulla è trapelato nel dibattito pubblico.
Ma ora del presidente genovese di Confindustria Giovanni Calvini abbiamo potuto leggere una lettera degna di uno spazio di spicco. Ci sarebbe, dice Calvini «chi intende trasformare Genova in una Disneyland dei centri commerciali, dell'intrattenimento e delle seconde case, emarginando sempre più le attività imprenditoriali e produttive». E come per Ansaldo costretta a ad assemblare turbine a Massa ci sarebbero «altre decine di imprese censite da Confindustria che necessitano di aree industriali coperte per un totale di circa 100mila mq». Queste parole sono chiare come quelle dette dai maggiorenti citati all'inizio. Se questi problemi saranno affrontati con le vecchie contrapposizioni frontali tutto si risolverà, tra le more di palazzo di giustizia, nella conferma statica del vecchio assetto di potere. Se non ci sarà un onorevole e dinamico compromesso favorito da un ceto politico nuovo e illuminato, il declino sportivo paventato da Riccardo Garrone si sommerà alla Disneyland temuta da Calvini. E per la chiesa avremo solo presepi con moschee e chiese senza croci come a San Torpete del Farinella. E se proprio volete una cosa nuova senza Piano, la moschea stile parigino al Lagaccio. A Marassi sempre stadio - carceri, in linea con Staglieno e turisti da Casablanca. E via con le mille una notte, dove tutte le vacche sono nere.
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La stampa cittadina ha riportato quanto avrebbe affermato don Paolo Farinella dopo la tragica morte dei sei ragazzi parà a Kabul, e cioè che egli non provava commozione né poteva piangere per loro perché, fra l'altro (così viene riportato testualmente) «i soldati morti sono andati per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più… per menare le mani e sperimentare armi di precisione...»!!
Parole che mi hanno lasciato sconcertato ed incredulo, così vuote di amore e misericordia.
La prima reazione che tutti noi dovevamo avere di fronte ad un fatto così tragico, come uomini, come cristiani, come fratelli e, mi sia consentito, soprattutto come ministri di Dio, doveva essere quella di genufletterci in preghiera, con le lacrime agli occhi!
Io, che sono nessuno, l'ho fatto, mia moglie anche, così tutti quelli che ho avvicinato. Se lui non l'ha fatto, lo inviterei, da fratello, a farlo, intercedendo per tutte le vittime e quindi anche per loro, come Gesù ci ha e gli ha insegnato.
In questo tempo in cui le relazioni umane sembrano più improntate all'odio ed alla esecrazione dell'altro, dal Sacerdote, sia che ci parli in confessione, sia che ci parli dal pulpito, ci aspetteremmo non parole dure, di preconcetta condanna, ma parole di amore, di misericordia, e di cristiana speranza. Il Sacerdote non può mai porsi «contro» qualcuno, ma deve sempre andare «in-contro» a tutti, quando è il caso fraternamente correggendo e, quando è il caso, accettando lui stesso, come esempio agli altri, la fraterna correzione, senza mai discostarsi dalla via tracciata da Gesù, che è piastrellata d'amore.
Tutto il resto non credo faccia, o debba far, parte del bagaglio e dell'insegnamento del Sacerdote, che deve trovare solo nel Vangelo ogni possibile compiuta catechesi. Solo l'amore con la carità possono vincere il male, ed il Sacerdote deve esserne il primo portatore e dispensatore, con l'esempio e la parola spezzata!
La carità è paziente, è benigna la carità; non si vanta; non si gonfia, non manca di rispetto,… non si adira… ma si compiace della verità (San Paolo I° Corinzi 13, 4-6).
Sarebbe bene meditare sempre questa parola, ne riceveremmo tutti un grande insegnamento e la ritrovata pace del cuore.
Enrico Colamartino
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Gentilissimi, purtroppo liturgie acattoliche come quelle del Vescovo di Verona o del «nostro» Don Farinella sono solo la punta dell'iceberg dell'odio che pervade certi ambienti ecclesiastici verso la nostra Religione; vi sono dall'alta parte (pochi) vescovi e sacerdoti coraggiosi, che sfidando il diffuso conformismo, hanno il coraggio di predicare e praticare la loro Fede in modo consono, così come il Pontefice «felicemente regnante» chiede e fa; mi piace qui ricordare il Vescovo di Albenga-Imperia, Mons. Mario Olivieri, che segue con convinzione ed impegno le direttive papali e forse per questo è a rischio di «promozione-rimozione»...
La maggioranza, certamente fedele, sta nella terra di nessuno ed ha paura di mostrarsi, piegandosi ad ogni venticello, specie da ponente (nel senso che sta sulla sinistra della rosa dei venti).


Rimedi a breve termine non ce ne sono e dovremo aspettare un ricambio generazionale, però si può, ciascuno nel proprio àmbito, cercare di ricostruire quella Chiesa che molti fedeli desiderano, come indica il sondaggio pubblicato su Libero domenica scorsa, chiedendo - ne abbiamo il diritto, confermato dall'accettazione di tutti i ricorsi presentati all'Ecclesia Dei contro abusi di potere dei vescovi ostili - ai nostri sacerdoti:
- di ripristinare secondo le indicazioni di Benedetto XVI gli altari e di rimuovere le «mense», almeno dove possibile;
- di mettere al centro della celebrazione, laddove non è possibile ripristinare l'altare, perché distrutto dalla furia riformatrice, il crocifisso;
- di inserire, quando richiesto dai fedeli e «tecnicamente possibile», nell'orario normale la messa romana secondo la forma straordinaria;
- di garantire ai fedeli, che desiderano questa liturgia, anche gli altri sacramenti nella forma straordinaria, come prevede il motu proprio;
- di celebrare il rito ordinario rimettendo al primo posto il sacrificio eucaristico, e dando il giusto posto a quella che si chiamava una volta le messa dei catecumeni (cioè le letture e l'omelia) ed alla partecipazione alla mensa del Signore; tutti tre i momenti sono egualmente importanti, però l'offerta che fa il Cristo di se stesso sull'altare per mano del sacerdote è e deve rimanere il punto centrale ed il più alto;
- di seguire con attenzione le rubriche, scegliendo possibilmente quelle conformi all'edizione tipica vaticana, come viene di solito praticato quando il rito ordinario viene celebrato in latino.
Con cordialità in X.to et Maria
Clemente Carlo Kaiser

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