Cronaca locale

I luoghi perduti della follia

«Il malato, che già soffre di una perdita di libertà quale può essere interpretata la malattia, si trova costretto ad aderire a un nuovo corpo che è quello dell'istituzione, negando ogni desiderio, ogni azione, ogni ispirazione autonoma che lo farebbero sentire ancora vivo e ancora se stesso». Così, 40 anni fa, si esprimeva Franco Basaglia. Dieci anni dopo, nel 1978, la celebre e discussa legge 180 cercava di contribuire alla risoluzione della cesura tra società e follia creata dalle istituzioni manicomiali.
Da allora, l'attuazione della legge, tra errori, successi e polemiche, ha modificato radicalmente l'assetto dei servizi di salute mentale in Italia. Ma le sole energie operative non sono sufficienti. Bisogna «ossigenare» costantemente il lavoro degli operatori del settore con una discussione interdisciplinare, che proponga sempre nuovi stimoli: «Il problema su cui dobbiamo dibattere non è tanto la vecchia questione dell'integrazione tra malattia mentale e società» afferma Giovanni Sironi, giovane responsabile dell'area progetti della Fondazione Bertini di Milano. «Ma la possibilità concreta di reinserimenti territoriali dei malati che trasformi un percorso cieco e oscuro in un momento di invenzione. Nel territorio lombardo la situazione è proattiva, ma sono ancora presenti concentrazioni anomale. Basti pensare all'ex manicomio di Mombello, dove sono ancora presenti 160 internati, con i quali a maggio dovrebbe partire un progetto di riabilitazione».
È per questo che la Fondazione Bertini - nata nel maggio 2007 in memoria dell'editore Gaetano Bertini per occuparsi dell'inserimento professionale dei giovani con disagi mentali - ha messo in piedi in un solo anno due progetti di network. Il portale «Menteinsalute.it», che attraverso una mappatura sistematica del territorio milanese e lombardo permette di unire in rete tutte le strutture che si occupano di disagio psichico, e il progetto «Open Mind», che fornisce alle aziende giovani tirocinanti con problemi di disagio mentale, formati in laboratori di transizione al lavoro. Ed è sempre in quest'ottica di riattivazione del malato ispirata da Basaglia che la Fondazione ha organizzato la giornata di studi che si terrà oggi all'Università Statale (ore 9-17, aula Crociera Alta, ingresso libero), dal titolo «Franco Basaglia e la filosofia del '900». «I concetti che ci hanno mosso a pensare questo convegno sono due» prosegue Sironi. «Stimolare l'interdisciplinarietà tra psicoanalisi, sociologia e psichiatria e far incontrare teoria e prassi. Che ci sia bisogno di riflessione anche tra infermieri ed educatori è dimostrato dalle centinaia di richieste di iscrizione». Perché se è vero che trent'anni fa i malati sono «tornati a casa» è vero pure che per non trasformare anche le case in «luoghi perduti della follia» è necessaria un'attenzione costante. A questo dovrebbero servire le «interrogazioni filosofiche» di Carlo Sini e Pier Aldo Rovatti. Il primo, docente di filosofia teoretica alla Statale, rappresenta idealmente il territorio milanese e lombardo su cui opera la Fondazione. Il secondo, titolare di filosofia contemporanea all'Università di Trieste, le radici logistiche della rivoluzione antimanicomiale di Basaglia. A rispondere, gli psichiatri Eugenio Borgna, Mario Colucci e Romolo Rossi, lo psicoanalista Massimo Recalcati, i sociologi Ota De Leonardis e Alessandro Dal Lago e i direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale di Milano.

Nei loro interventi, Basaglia verrà confrontato con alcuni «padri» delle discipline in questione, come Freud, Lacan, Goffman, Sartre, Foucault.

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