Cultura e Spettacoli

«I miei primi quarant’anni in compagnia dell’amico rap»

«I media colgono la verve polemica e non i valori dell’hip hop. Più che uno che semina, sono uno che dissoda»

Cesare G. Romana

da Milano

Il 27, Lorenzo Jovanotti compie i suoi primi quarant’anni, e per festeggiare gli hanno fatto due libri, nientemeno. L’altra sera, l’artista ha presentato Quarantology (Rizzoli), smagliante raccolta di foto da lui stesso chiosate. Poi esce Pioggia che cade, vita che scorre (Arcana-Fazi): affettuoso ritratto-biografia, scritto da un giovane leone dell’hip hop nostrano, Tommaso Zanello meglio noto come Er Piotta.
Di Quarantology dice Lorenzo: «Ho rovistato in cantina, scegliendo centinaia di foto che sono altrettante emozioni. Alcune fatte da altri (quelle che mi ritraggono), inclusa Francesca, la mia compagna, fotografa bravissima. Altre scattate da me: panorami, persone, ritagli di vita. Poi le ho commentate una ad una, facendo sì che, nel libro, la parte scritta mantenga una sua logica interna, diventi racconto».
Il risultato? Bello, lussuoso, narrante. Tanto densa e cangiante è la carica affabulatoria delle immagini, preceduta da un’ampia intervista di Franco Zanetti, in cui Lorenzo dice cose importanti: come quando, citando Dylan, ribadisce che «in quelli con i capelli bianchi non ho mai saputo vedere la saggezza», e si definisce «né uno che semina né uno che raccoglie, ma uno che dissoda». Poi, nelle chiose alle foto, semina pillole di saggezza, di sana laicità, di giovane passione. Dice: «Non passa un giorno senza che io pensi all’Africa», e aggiunge: «L’unica cosa fondamentale di un viaggio è perdersi». Parla dell’«immenso Fabrizio De André» («nel suo modo di stringermi il braccio c’era qualcosa di affettuoso, un affetto da maestro»), di Pavarotti («una voce che è un vento di vita»), di Bono e degli U2 («epici e intelligenti allo stesso tempo»), del rap che «è la mia musica amica, il resto è la musica che conosco». E intanto, a cena con i cronisti, parla di tutt’un po’ con la scioltezza di sempre, inneggia a Baudo e a Fazio a proposito di Sanremo, a Vasco «grande maestro» ma anche a Ligabue, e si concede qualche civetteria («vorrei che scriveste male di me, qualche volta, per creare un po’ di dialettica»). Per dire, ancora, cose sensate sulla musica leggera «che racconta la vita d’un Paese, dunque è cultura anche se c’è chi la usa, ed è avvilente, per reclamizzare i gelati». Lamentando infine che dell’hip hop, in Italia, i media colgano «più la verve polemica che i valori profondi», e così via, tra il faceto e il serio.
Quanto a Pioggia che cade, vita che scorre, Er Piotta ritrae il più illustre collega con deferenza, dovizia di dettagli e qualche pizzico d’agiografia. Narrando la gavetta, la raggiunta celebrità e la progressiva maturazione d’un artista che, partito da un giovanilismo alquanto futile, ha saputo approdare ad una progressiva consapevolezza delle realtà più scottanti, cedendo a una «passione civile che - lo dice Jovanotti stesso - cresce quanto più il mondo si complica».
Ne emerge una sorprendente evoluzione: quella d’un rapper arrivato a lambire la canzone d’autore - Lorenzo ammetteva, a proposito di Buon sangue, la lezione di Paoli, ma già nel 2000 aveva reso omaggio a De André con La cattiva strada - in pagine di più pensoso lirismo. Come dire: superato il feticcio dell’«energia» fine a se stessa - la fase del «casino casino casino», bollata dai critici più attendibili -, ecco Lorenzo orientarsi a ben altri traguardi. E l’immagine d’una gioventù discotecara e corriva cedere a quella d’una «tribù che balla e cerca una ragione», e il rap diventare «quella musica dura/quella che fa paura» perché parla alle coscienze.
Piotta attesta, dunque, come il rapper toscano, prima in modo un po’ schematico, poi con crescente approfondimento, sia passato ad affrontare nodi come il razzismo, la mafia, l’Aids, l’intolleranza, la guerra, fino a proporre un «pensare positivo» che superi le contrapposizioni ideologiche, religiose, di casta nel segno d’una ecumenica solidarietà, e d’un rinnovato umanesimo.

Cui il biografo rende giustizia, e onesta testimonianza.

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