Una nazione, una cultura, una religione. LIndia e linduismo. È lobiettivo da raggiungere, non importa con quale mezzo. E allora diventa lecita laggressione e la violenza. Si arriva a inneggiare ad attacchi suicidi. Fede e nazionalismo. È il pericoloso mix che alimenta lestremismo indù in quella che è considerata la più grande democrazia del mondo. Cadono i cliché. E dun tratto lIndia non è più cumino, Gandhi, yoga e buffe divinità con teste di elefante.
Gli estremisti indù uccidono cristiani, ne bruciano le chiese, le istituzioni e le case. Lo fanno anche con i musulmani. E sikh. Gli attacchi di ieri nello Stato dellOrissa non hanno ancora una firma, ma non fa differenza. La galassia di questo fondamentalismo obbedisce a ununica legge, è impastata con ununica ideologia: quella hindutva. Traducibile con «indianità». Nata allinizio del Novecento, lhindutva irrompe nella scena politica tra gli anni 80 e 90. La spirale di violenze tra indù e musulmani, partita da Ayodhya nel dicembre 1992, cui seguono gli attentati di Bombay nel gennaio 93 (900 morti in tutto), contribuisce ad allargare le file dei fondamentalisti e a radicalizzarne le posizioni. Il subcontinente è degli indù e per questo è necessario combattere chi, nel corso della storia, lo ha colonizzato e sottomesso: musulmani e cristiani.
Vishwa Hindu Parishad (Vhp - Consiglio mondiale indù), Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss - Corpo nazionale dei volontari), Bajrang Dal. Sono tutte sigle tristemente note alle comunità indiane di minoranza. Altre più piccole, ma non meno violente, fanno proseliti tra i giovanissimi. È stato il famigerato capo dello Shiv Shena, Bal Thackeray, che a febbraio ha chiesto ai suoi uomini di formare «squadre suicide indù per colpire i mini Pakistan in India». Ognuna di queste formazioni fa capo a un medesimo fronte, il Sangh Parivar: indicato come la fratellanza dello zafferano, dal colore della bandiera dellinduismo nazionalista. Lala politica che persegue l«agenda dellindianità» nelle stanze del potere è rappresentata dal Bharatiya Janata Party (Bjp). Il partito nazionalista indù guida diversi Stati dellUnione ed è allopposizione nel governo centrale.
Ma è allRss che si deve guardare per capire la genesi di quello che, per molti analisti indiani, è un «cancro» che frena lo sviluppo del Paese. LRss, oltre mezzo milione di affiliati, nasce negli anni 20 ed è stato la culla di esponenti chiave del Bjp: da Atal Bihar Vajpayee, ex primo ministro, a Lal Krishna Advani, ex presidente del partito. La devozione allindusimo è un optional. Quello che conta veramente è la comunanza di sangue tra indù. E quindi lobbligo di far proprie la civiltà, la cultura, i riti tradizionali. Una delle più famose campagne è stata quella per il cambio di nome di Bombay, usato sotto gli inglesi, con loriginale Mumbai. Non stupisce che il mito ariano dei nazisti abbia tratto linfa da queste terre. La croce uncinata è un millenario simbolo indiano. Per i seguaci del Rss, lindiano che si converte a unaltra fede è un traditore, che va reciso dal corpo della nazione. A meno che non ritorni alla fede «originale». Per questo cerimonie di riconversioni di massa e attacchi alle proprietà dei cristiani sono gli strumenti di cui gli estremisti più si servono per attuare la loro propaganda. LRss mira a mantenere le minoranze nel terrore e le caste basse nel sottosviluppo, per poterle controllarle meglio; agisce per approfondire la divisione fra le religioni e accrescere il confessionalismo nei partiti.
Ogni volta che il partito Bjp perde il potere vi è unondata di violenza. Negli Stati dove comanda introduce sistemi liberticidi come le leggi anticonversione che puniscono duramente ogni tipo di proselitismo. E in questo clima lIndia si prepara alle elezioni politiche del prossimo anno.
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