I nostri soldati salvano vite, gli inglesi sparano

di Gian Micalessin

Inesplicabile ha detto il presidente Giorgio Napolitano. Esplicabilissimo gli ha risposto lo sbrigativo segretario alla Difesa britannico Philip Hammond difendendo il blitz costato la vita a Franco Lamolinara e a un ostaggio inglese in Nigeria. Probabilmente nessun nostro ministro userebbe quei toni per interloquire con la corona inglese. Ma dimentichiamo il protocollo. Andiamo alle parole con cui il quotidiano britannico Daily Telegraph difende quell’«esplicabilissimo» di Hammond. Gli argomenti usati in un articolo a firma David Blair sono il diverso approccio culturale inglese e italiano sulla questione ostaggi e la nostra scarsa affidabilità militare.
Per sostanziare quest’ultimo argomento il Telegraph sfodera il dispaccio diplomatico del 2008, già portato alla luce da Wikileaks, in cui Washington ci accusava di liberare ostaggi a suon di riscatti e di pagare i capi talebani. La parte che più soddisfa l’orgoglio anglosassone del Telegraph è quella in cui si valuta a suon di cadaveri il nostro impegno militare. «Un fatto rimane: gli italiani in Afghanistan hanno perso dodici soldati, molti meno degli alleati con responsabilità paragonabili». Tralasciamo il buon gusto e andiamo alla sostanza. Il cablogramma è del 2008 e si riferisce al nostro impegno durante il governo Prodi. Dal 2008 tutto cambia. Gli effettivi aumentano fino a 4000 unità e i nostri soldati incominciano a operare con determinazione su tutti i fronti del settore occidentale strappando vaste aree al controllo degli insorti e guadagnandosi la pubblica approvazione del comandante statunitense David Petraeus. Contestualmente, per stare ai macabri calcoli cari agli amici d’oltremanica, il numero dei nostri caduti arriva purtroppo a quota 49. Ma per dimostrare l’inefficacia d’una così discutibile contabilità vanno ricordati i 404 caduti inglesi in Afghanistan. Quel sacrificio pesantissimo non impedisce allo stesso generale Petraeus di giudicare inadeguato l’impegno britannico nella provincia di Helmand e mandare i marines a sostituirli.
Liberato il campo dagli argomenti sgradevoli affrontiamo quelli seri. Il diverso approccio culturale alla questione ostaggi merita molto più spazio delle tre righe con cui lo liquida il Daily Telegraph. In Irak nel 2005 Londra abbandona a morte atroce gli ostaggi Margaret Hassan e Ken Bigley rapiti da una cellula al-qaidista. Nel 2010 in Afghanistan gli inglesi autorizzano l’intervento delle Seals americane per tentare la liberazione dell’operatrice umanitaria scozzese Linda Norgrove. Il blitz lanciato mentre i talebani stanno già trattando il rilascio si conclude con la morte dell’ostaggio. Ugualmente male finisce, un anno prima, il blitz delle Sas britanniche che strappa dalle mani dei talebani il giornalista del New York Times Stephen Farrel, ma costa la vita al suo interprete britannico e a un militare britannico. E altrettanto tragicamente si risolve nel 2007 il tentativo di liberare l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria caduto in mani talebane assieme a un collega e ucciso durante un blitz guidato dalla stessa unità intervenute giovedì in Nigeria. Tutto questo per dire che la differenza tra la consueta, implacabile determinazione britannica e quella alternante di noi italiani è semplice. Noi la sfoderiamo solo quando, come nel caso Moro, il sacrificio di un ostaggio è indispensabile per il bene comune del paese. Loro la usano a pié sospinto, anche quando risulta irrilevante per l’obbiettivo finale. In Irak il terrorismo non è stato sconfitto dal rifiuto di trattare con i terroristi, ma dalla capacità di conquistare il cuore e la mente delle tribù sunnite che rappresentavano il nocciolo duro di Al Qaida. In Afghanistan, nonostante raid e blitz, i talebani continuano a combattere perché non siamo ancora riusciti ad applicare una strategia vincente. Sul fronte nigeriano e africano l’affrettato blitz di giovedì non cambierà di una virgola le sorti della guerra al terrorismo.

Al Qaida verrà spazzata via solo se gli alleati occidentali e gli Stati africani sapranno decidere e applicare strategie comuni. Inesplicabile non è il disorientamento italiano, ma il tentativo inglese di far valere a ogni costo un’inflessibilità a volte fuori tempo e fuori luogo.

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