MilanoAlberto Stasi deve essere processato di nuovo, e condannato «per avere coscientemente e selvaggiamente aggredito con spietate modalità Chiara Poggi». Lo chiedono Giuseppe, Rita e Marco Poggi: padre, madre e fratello della ragazza assassinata a Garlasco la mattina del 13 agosto 2007. Alberto, il suo fidanzato, il bocconiano dagli occhi celesti che la chiamava «Tatina», è stato assolto in primo grado dallaccusa di omicidio volontario. Ma i familiari di Chiara ricorrono alla Corte dappello di Milano, e lo stesso ha fatto anche la Procura di Vigevano. Nuovo processo, dunque, per Stasi: e stavolta a porte aperte, in Corte dassise, non davanti a un solo giudice ma alla giuria, ai giudici popolari. E potrebbe essere una differenza destinata a pesare.
Nelle 170 pagine del ricorso, steso dal loro avvocato Gianluca Tizzoni e che mamma Poggi ha voluto depositare personalmente in cancelleria ieri mattina, i familiari di Chiara non lesinano le critiche al giudice Vitelli, quello che assolse Stasi, che accusano di «ultragarantismo», ovvero di essere stato «pesantemente ispirato da un eccesso di protezione dei diritti dellimputato che ha finito per calpestare i diritti della vittima e dei suoi familiari». Solo così, sostengono, si è potuti arrivare al proscioglimento di Alberto, senza accorgersi che «tutta la costellazione di indizi converge sistematicamente su Stasi».
Alla Corte dassise di Milano, i parenti di Chiara chiedono anche di esplorare una prova nuova e potenzialmente decisiva: il capello biondo che Chiara riuscì a strappare al suo assassino e che venne trovato tra le sue mani. Capello corto, poco più di un centimetro, insufficiente per lesame del Dna nucleare, ma che dallesame mitocondriale - la frontiera più avanzata del profilo genetico - potrebbe forse dare una risposta. Ma è solo un di più: perché per i familiari di Chiara le prove esistenti già bastano. «La convinzione della colpevolezza di Stasi è il furto di approfondite e drammatiche riflessioni maturata nel tempo, dal giorno dellomicidio, ancor più consolidatesi a seguito della partecipazione a tutte le udienze del processo di primo grado». Dalle tracce di Dna sui pedali, ai venticinque minuti di buco nellalibi, alle impronte sul portasapone, alle contraddizioni nel racconto: tutto porta verso Alberto, e nulla porta altrove. «Comprovata totale assenza di indizi a carico di terze persone», dice il ricorso.
Almeno quattro i moventi possibili, o quattro moventi tutti insieme: e tutti, per la famiglia Poggi, legati al vizio segreto di Alberto, il suo «rituale ossessivo e quotidiano», la «maniacale attenzione per la pornografia». La sera prima di morire, Chiara - quando si collega con la sua chiavetta Usb al computer di Alberto - forse scopre altre foto che la fanno infuriare. O forse scopre che anche le sue foto, le immagini intime e ingenue che Alberto la convinceva di quando in quando a girare, sono finite nel mucchio della pornografia. Oppure ancora, accade che Chiara abbia rifiutato, esasperata, di spogliarsi unaltra volta davanti alla macchina fotografica e alla telecamera di Alberto.
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