I preti fan di Pisapia tifano per gli abortisti

Si sa che cosa pensa Giuliano Pisapia in materia di coppie di fatto, aborto, liberalizzazione delle droghe, legalizzazione dell’eutanasia. Delle ultime due parlano le sue iniziative quand’era parlamentare comunista; per le faccende familiari o pseudo tali fa testo il suo programma da aspirante sindaco.
Il candidato del centrosinistra si riferisce a «famiglie plurali», prevede di stabilire «parità di diritti e doveri per tutte le comunità affettive e di vita che vogliano essere riconosciute dall’amministrazione comunale (casa, assistenza, scuola, cultura, sport)» e intende riconoscere formalmente con un Registro delle unioni civili tutte le «forme di legami stabili e durature estranee all’istituto del matrimonio, contrastando ogni discriminazione, in particolare relativa agli orientamenti sessuali». Quindi sono comprese le coppie gay. Quanto all’aborto, Pisapia garantirà «il diritto all’assistenza» anche alle adolescenti.
Sono propositi difficilmente accettabili per un cattolico che voglia rispettare i «princìpi non negoziabili in politica» sanciti dalla dottrina sociale della Chiesa e ribaditi più volte dai papi: in particolare «il riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia» oltre alla tutela della vita in tutte le sue fasi e alla libertà di educazione, che Pisapia non inserisce nemmeno tra le ultime cose da fare.
Tuttavia l’arcidiocesi di Milano non ha ricordato ai fedeli queste contraddizioni. Ha criticato, per bocca del vicario monsignor Eros Monti, «una campagna elettorale dai toni particolarmente accesi». Ha invitato a tralasciare «emotività e frasi a effetto» per concentrarsi sulla «qualità della vita delle persone». Alla vigilia del voto ha sollecitato una pausa di silenzio. E la curia ha dato il buon esempio, tacendo sui programmi dei candidati.
Quello che in arcivescovado si pensa ma non si dice è contenuto in un appello firmato da 270 aderenti all’associazione «per il cambiamento nell’amministrazione della città», ispirato «dai nostri valori e da quanto ci continua a indicare il nostro arcivescovo Dionigi Tettamanzi». Tra i firmatari compaiono, accanto a Vittorio Agnoletto e all’ex leader dell’Ulivo milanese Sandro Antoniazzi, anche una decina di preti tra cui don Virginio Colmegna, direttore della Fondazione Casa della Carità. L’appello critica duramente l’amministrazione Moratti, insensibile verso i poveri e gli immigrati, e chiede l’apertura di una moschea.
Don Colmegna in una lettera al settimanale Tempi ha spiegato i motivi per cui invita a votare Pisapia: «Il modo (dei berlusconiani, ndr) di propagandare stili di vita che irridono alla morale», la mancata adesione «alla logica evangelica dell’ospitalità», «il degrado etico e barzellettiero», il «sostegno a identità egoistiche e chiuse». Per il sacerdote milanese che si dedica agli ultimi la questione etica, dei comportamenti, fa premio su una visione della convivenza civile (propugnata da Pisapia) opposta a quella cristiana. Si vota in base alla moralità, non all’idea di persona, di famiglia, di educazione sollecitata dalla Chiesa.
Sono pochi i 270 firmatari? La loro è una posizione isolata negli ambienti ecclesiastici milanesi? Tutt’altro. Basta leggere il Decalogo per la politica milanese, redatto tra gli altri da Azione cattolica, Acli, Sant’Egidio, e pubblicato in evidenza sul sito internet della diocesi (assieme a decine di iniziative per il dialogo, l’accoglienza, il federalismo solidale), quindi in qualche modo avallato dal cardinale Tettamanzi.

Il documento ribadisce la necessità di un «impegno politico personale ispirato a principi etici» come la coerenza e la legalità, di «ascoltare e rappresentare i bisogni dei cittadini», di «riscoprire l’antica vocazione ambrosiana dell’accoglienza, dell’attenzione agli ultimi e della solidarietà», di «ricercare un confronto serio con le opposizioni». E i «valori non negoziabili» che stanno a cuore a Benedetto XVI? Nemmeno un piccolo cenno di sfuggita.

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