Il primo appuntamento - 22 aprile scorso a Gaeta - ha visto la partecipazione di importanti e autorevoli rappresentanti dell'economia del mare italiana: il presidente di Confitarma e Federazione del mare, Paolo d'Amico; il capo di gabinetto del ministero agli Affari Regionali, al Turismo e allo Sport, Giuseppe Greco; il direttore generale per le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi del ministero dello Sviluppo Economico, Pietro Celi; l'allora comandante di Maricapitale, ammiraglio Antonino Parisi; il presidente di Assonat, Luciano Serra; l'amministratore delegato di Italia Navigando, Paolo Provasoli; il responsabile delle relazioni istituzionali di Ucina-Confindustria Nautica, Roberto Neglia; il portavoce del presidente di Assonautica Italiana, Matteo Dusconi; il senior vice president di Selex Sistemi Integrati, Leonardo Quattrocchi; il presidente Unioncamere Campania, delegato «Regio Prima Latium et Campania», Tommaso De Simone; il presidente Camera di Commercio di Latina e vicepresidente Unioncamere Lazio, Vincenzo Zottola. Proprio in quel dibattito sono emersi alcuni punti focali: il ruolo centrale dell'Economia del Mare nelle strategie di sviluppo dell'Italia, le diverse modalità possibili di integrazione tra settori e soggetti attualmente in atto o da attuare e le prospettive di osmosi tra questi.
Durante i lavori è stata presentata in esclusiva una ricerca curata dalla società Ispo del professor Renato Mannheimer: «Analisi e prospettive del mercato dell'economia del mare», alla luce dell'allora tassa di stazionamento.
Dallo studio su un campione di imprese dei diversi settori interessati, è poi emerso che la popolazione imprenditoriale italiana è spaccata a metà, con il 55% di pessimisti riguardo la situazione economico-finanziaria, e un eroico 6% più fiducioso. In generale un grande peggioramento si è visto nell'aumento dei costi di produzione e nel ritardo dei pagamenti degli acquirenti.
Gli elementi di maggiore preoccupazione delle aziende del mare sono rappresentati per il 42% dalla pressione fiscale, per il 14% dalla contrazione del mercato, e per il 3% dai vincoli burocratici. A riguardo c'è un dato da non tralasciare: molte imprese esportano e dunque non avvertono allo stesso modo il peso della crisi italiana. NuPag
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