Una mostra rigorosa al Museo dArte di Mendrisio ricostruisce la figura di due artisti seicenteschi oggi dimenticati, Francesco e Innocenzo Torriani, padre e figlio. È un argomento che riguarda da vicino anche lItalia, perché i due Torriani hanno lavorato non solo in Svizzera, ma anche in quella Lombardia allargata che andava da Varese a Como, dalla Valtellina alla Valchiavenna. Oggi il nome di Francesco Torriani ai non specialisti (cioè a tutti) non dice nulla. Ma non fu sempre così. Ai suoi tempi, anzi, era famoso, e nel Settecento le sue tele venivano confuse addirittura con quelle di Guido Reni, che era stato suo maestro. Nacque allora un vivace collezionismo diffuso in tutta Europa, e non è improbabile che in qualche castello inglese rimanga ancora, ammiratissimo nel salone donore, un Reni che in realtà è un Francesco Torriani. La sua pittura, come ben documenta la mostra (a cura di Laura Damiani Cabrini e Anastasia Gilardi, fino al 18 giugno) si caratterizza per un sostanziale classicismo che muove da Reni e da Morazzone, ma sa aprirsi anche, cautamente, al naturalismo caravaggesco. Non senza qualche concessione alla tenerezza dellAneddoto, come nello Sposalizio di Maria (1644), in cui quello che interessa di più allartista non sono le figure dei due sposi, ma un cagnolino che si è fermato al centro della tela e di lì non si è più mosso.
Il figlio di Francesco, Innocenzo (1648-1700), aveva invece studiato a Milano, allAccademia Ambrosiana, e opta per unarte più scenografica e teatrale, animata da unevidente sensibilità barocca, e da unattenzione particolare alla pittura di genere. Insieme, comunque, i due formano la prima bottega darte stabilmente attestata nella «Lombardia svizzera»: una bottega avviatissima, anzi una sorta di azienda, in cui lavorano decine di allievi, e alla quale si rivolgono le chiese di tutto il territorio per pale daltari, decorazioni, arredi. Ma torniamo a Francesco.
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