Per le armi trovate nell'ospedale, «siamo noi i primi a voler sapere come è arrivata questa roba. Va contro i nostri principi e regole», giura il chirurgo Marco Garatti. Per la prima volta parla davanti a una telecamera di Peacereporter, la costola mediatica di Emergency. Al suo fianco gli altri due italiani rilasciati da Kabul, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, che stanno tornando a casa. I tre liberati sono partiti ieri mattina da Kabul, diretti a Dubai, in compagnia dell'inviato speciale della Farnesina, Massimo Attilio Iannucci, che li ha tirati fuori dalla galere afghane. Sul primo momento sembrava che arrivassero in Italia in serata, ma poi il rientro è stato rimandato ad oggi. Il governo italiano ha messo a disposizione un volo del Cai, la piccola flotta dei servizi segreti. Chissà se accetteranno il passaggio. Sul sito Peacereporter ha scritto: «Non stupisce, che ci sia chi vuole scattarsi la foto con il braccio intorno alle spalle dei tre, presentandosi come l'unico e indispensabile eroe della vicenda. E preghiamo Dio che quella foto, se mai ci sarà, rimanga a monito di cosa sia il dovere di uno Stato e le convenienze politiche di un governo». L'ennesima bordata alle autorità italiane che hanno sbrogliato la matassa. Ieri lo stesso Gino Strada, correndo ai ripari, ha telefonato «al ministro degli Esteri, Franco Frattini, per ringraziarlo personalmente».
Nel video di Peacereporter i tre italiani raccontano gli otto giorni di prigionia. «Un medico afghano dell'ospedale ci ha chiamato dicendo che la polizia, le forze speciali, l'esercito stavano entrando armati - raccontano nel video -. Ci siamo subito mossi. Poco prima di arrivare, però, siamo stati fermati e arrestati». Matteo Pagani, il più giovane, spiega che «il primo sospetto mi è venuto quando uno dei militari mi ha detto la parola explosive. Quando mi hanno fatto uscire dal pronto soccorso, c'erano delle truppe inglesi». Dell'Aira ricorda che gli «hanno presentato un elenco dettagliato di quello che avevano trovato (armi e giubbotti esplosivi, nda). Prima di firmarlo ho scritto in inglese che non ne sapevo nulla». Il timore era rimanere in galera per settimane o mesi prima di chiarire la faccenda. Invece la liberazione è «avvenuta in modo repentino».
Tutti e tre, replicati in Italia da Strada, hanno ripetuto all'unisono: «I servizi segreti ci hanno confermato che non è stato trovato nulla contro di noi e contro Emergency. La liberazione non è frutto di pressioni politiche, di compromessi, ma della conclusione delle indagini». Lo ha sottolineato Amrullah Saleh, il capo dei servizi di sicurezza, nonostante abbia il dente avvelenato con Emergency. Solo Alice nel paese delle meraviglie può pensare che le autorità afghane svelino «le garanzie reciproche e gli impegni italiani», che hanno portato al rilascio, confermati al Giornale da una fonte diplomatica il giorno prima della liberazione.
A Kabul, salendo sull'aereo, Garatti ha annunciato: «Siamo contenti di partire. Ci rivediamo in Afghanistan». Non sarà così facile, almeno a Lashkar Gah. Ieri Daud Ahmadi, il portavoce del governatore di Helmand, interpellato dall'Ansa, ha spiegato che l'ospedale può riaprire a patto che «Emergency non sia più coinvolta in attività terroristiche» come il ritrovamento di armi nelle sue strutture.
Il governatore, Gulab Mangal, è ancora convinto «che ci siano prove schiaccianti contro Emergency - come ha dichiarato al Corriere della Sera -. Peccato che siano state inquinate per trovare un accordo con Kabul». Il portavoce del governo locale aggiungeva ieri che «la nostra polizia ha avviato una sua indagine per sapere cosa è successo nell'ambito del sequestro di Daniele Mastrogiacomo», il giornalista di Repubblica liberato nel 2007 grazie alla mediazione del responsabile dell'ospedale Ramatullah Hanefi. Il governo locale vuole scoprire se «Emergency c'entra con la morte del giornalista afghano Adjmal Naqshbandi e dell'autista Sayed Agha (rapiti assieme a Mastrogiacomo ma decapitati dai talebani, nda). E vogliamo vedere la fine dell'inchiesta sulle armi trovate il 10 aprile nell'ospedale».
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