«I valori? Li ha schiacciati il ’68»

da Milano

«La scarsa valorizzazione del merito è una delle cause principali della crisi del Paese. È ora di superare la cultura sessantottina del diciotto politico». Mariastella Gelmini, avvocato, coordinatrice lombarda e giovane parlamentare di punta di Forza Italia, nel Sessantotto non era ancora nata ma è convinta che siano state gettate allora le basi del malcostume che oggi dilaga a tutti i livelli, dagli impiegati ai top manager. Così due mesi fa, nel quarantesimo anniversario dello «sfascio», ha presentato una proposta di legge «per la promozione e l’attuazione del merito nella società». La tesi di fondo è chiara: «Nel ’68 è stata imposta una pseudocultura di uguaglianza formale, un egualitarismo che è appiattimento verso il basso. Occorre invece premiare il talento, la capacità di lavoro e il coraggio di rischiare».
Una legge è in grado di modificare il senso civico e cambiare costumi consolidati? Il nostro è il Paese delle raccomandazioni...
«Credo che la legge possa essere un contributo importante per modificare la situazione anche dal punto di vista culturale. Purtroppo è vero, il sistema non è imperniato sul concetto di merito e così prevale la conoscenza, la raccomandazione. Per questo promuovere il merito è un aiuto concreto a giovani e donne. La sinistra promette loro il posto fisso ma la realtà è che la politica non può fare queste promesse ma al massimo creare le condizioni perché i giovani possano emergere».
Quando si parla di scarsa meritocrazia, si pensa subito al pubblico impiego. Un pregiudizio?
«Nella pubblica amministrazione non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Abbiamo rispetto dei funzionari pubblici che svolgono al meglio il proprio compito, ma per questo è giusto isolare fannulloni e assenteisti, altrimenti si danneggiano tutte le altre persone che lavorano».
La sua proposta di legge dedica ampi spazi alla scuola. Lo ritiene un settore in cui il merito è particolarmente penalizzato?
«La scuola è una delle principali urgenze. Occorre recuperare il concetto di merito sia per gli studenti sia per i professori, che devono avere una parte dello stipendio legata alla produttività. Nel sistema universitario è giusto che l’assegnazione delle risorse non sia a pioggia ma vengano agevolati gli istituti che esprimono maggiore qualità e livello di eccellenza».
Secondo lei, gli stipendi dei top manager rispettano la meritocrazia o c’è qualcosa che può essere rivisto?
«Le retribuzioni sono decise dal mercato ma non è giusto, non esiste che manager che hanno portato verso il fallimento società come Ferrovie e Alitalia, per non dire dell’Iri, ricevano stock option sganciate da produttività e merito. Si tratta di società malgestite, che hanno rinviato continuamente decisioni urgenti o le hanno prese senza tenere conto delle regole del mercato. È importante che ci sia un’assunzione di rischio da parte dei manager, come avviene in Gran Bretagna e Stati Uniti. Per Alitalia, vista la situazione, è una cosa particolarmente scandalosa».
I tempi di attuazione della legge non rischiano di essere lenti?
«Al contrario. È un disegno di legge delega già presentato alla Camera. Basta approvarlo e il prossimo governo potrà intervenire in tempi brevissimi. Mi auguro che diventi un tema bipartisan all’indomani delle elezioni. Ci fa piacere che anche Fassino e Veltroni adesso parlino di merito, ma nei fatti si sono sempre appiattiti sulle posizioni oltranziste della Cgil».
Poche ore fa Berlusconi a Milano ha promesso di dimezzare parlamentari, consiglieri regionali e comunali. Anche questa è una misura anti-privilegi?
«Stiamo soffrendo molto il tema della casta, che si è acuito negli ultimi anni.

Anche la sinistra oggi dice che vuole dimezzare la classe politica ma dimentica che durante il governo Berlusconi fu approvata una riforma costituzionale che prevedeva già la riduzione dei parlamentari. E Veltroni fu tra coloro che spararono ad alzo zero contro la riforma. Se la legge non fosse stata sottoposta a un linciaggio mediatico, oggi sarebbe già operativa».

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