Andrea Tornielli
da Roma
Al Sinodo dei vescovi dedicato al tema delleucaristia fa capolino la questione del voto da parte dellelettore cattolico ai politici abortisti, un problema che ha diviso i cattolici americani allultima tornata elettorale per la Casa Bianca. A sollevarlo, lunedì scorso, durante lora di libera discussione serale, è stato larcivescovo statunitense William Levada, Prefetto della Congregazione della dottrina della fede, il successore di Ratzinger.
Il prelato ha parlato in modo problematico, chiedendo un dibattito tra i padri sinodali. Levada si è chiesto se sia peccato votare i candidati politici che ammettono leggi a favore dellaborto e dunque se il cattolico che lo fa non possa accostarsi alla comunione se non dopo essersi confessato. Il Prefetto della fede ha ricordato subito dopo quanti contrasti la questione abbia sollevato negli Usa e come essa sia stata «giudicata da molti come uninterferenza della Chiesa nella vita politica». Per questo ha detto di ritenere «opportuni un approfondimento e un confronto sullargomento ascoltanto anche le esperienze delle Chiese di altri Paesi». Già lInstrumentum laboris, il documento preparatorio del Sinodo, al paragrafo 73, metteva in evidenza che «alcuni ricevono la comunione pur negando gli insegnamenti della Chiesa o dando pubblicamente supporto a scelte immorali, come laborto, senza pensare che stanno commettendo atti di grave disonestà personale e causando scandalo». «Del resto - continua il documento preparatorio - esistono cattolici che non comprendono perché sia peccato sostenere politicamente un candidato apertamente favorevole allaborto o ad altri atti gravi contro la vita, la giustizia e la pace. Da tale attitudine risulta, tra laltro, che è in crisi il senso di appartenenza alla Chiesa e che non è chiara la distinzione tra peccato veniale e mortale».
La discussione americana, più che il voto ai politici abortisti, ha riguardato però la possibilità di accostarsi alla comunione da parte di chi si dice cattolico e al contempo favorevole allaborto, come nel caso del candidato democratico John Kerry. Nel novembre 2003 la Conferenza episcopale statunitense, sollecitata dalla lobby «pro life», ha stabilito la creazione di una commissione per discutere quali misure adottare nei confronti dei politici cattolici abortisti. È una conseguenza della pubblicazione, avvenuta nel gennaio dello stesso anno, della Nota della Congregazione per la dottrina della fede sui cattolici impegnati in politica, firmata dallallora cardinale Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II. Quel documento ribadiva che la legittima autonomia della sfera politica «non può essere confusa con un indistinto pluralismo nella scelta dei principi morali» specificando che non è possibile per un cattolico fare scelte politiche in contrasto con la morale cristiana.
In un memorandum riservato del 15 aprile 1997, intitolato «Aborto, i politici e la comunione», Ratzinger era sembrato restringere la categoria del «peccato grave» soltanto per coloro che facessero sistematica campagna a favore di leggi permissive su aborto o eutanasia. In questi casi, al politico non dovrebbe essere permesso di accostarsi alla comunione e i pastori dovrebbero incontrarlo e informarlo.
Altra cosa, invece, è la responsabilità morale dellelettore cattolico che decide di dare il suo voto al politico abortista. E proprio su questo monsignor Levada ha chiesto ai padri sinodali di discutere. La questione è solitamente da riportare piuttosto nellalveo della dottrina sociale della Chiesa, che della dottrina morale e solitamente i teologi, più che di peccato preferiscono parlare di «atto di imprudenza» che non permette una forma coerente di evangelizzazione.
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