da Roma
È stato un dibattito acceso, per molti versi simile a quello avvenuto la scorsa primavera sullopportunità di pubblicare la famosa Nota sui Dico, segno che si tratta di una questione scottante: da lunedì pomeriggio fino a mercoledì mattina il Consiglio permanente della Cei ha discusso animatamente del Motu proprio di Benedetto XVI sulla messa antica e della sua applicazione. Alcuni dei vescovi presenti alla riunione, infatti, hanno manifestato le loro critiche al documento chiedendo che la Cei preparasse una Nota interpretativa delle direttive papali per lItalia. Ma liniziativa non è passata.
Il «Parlamentino» dei vescovi, al quale partecipano trenta presuli italiani, presieduto da Angelo Bagnasco, si è riunito lunedì pomeriggio. Dopo la prolusione del presidente, che conteneva un ampio paragrafo sul Motu proprio, ma anche apriva la discussione su altri argomenti, gli interventi si sono concentrati solo sulla messa tridentina. Il dibattito è avvenuto a porte chiuse, ma secondo le indiscrezioni raccolte dal Giornale alcuni dei prelati hanno manifestato la loro preoccupazione per lapplicazione del documento del Papa, entrato in vigore lo scorso 14 settembre, che liberalizza luso del messale antico. Tra questi Carlo Ghidelli, vescovo di Lanciano-Ortona, che ha preso la parola più volte. Insieme a lui e sulla stessa linea erano anche Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo di Lucca; il nuovo arcivescovo (e futuro cardinale) di Palermo Paolo Romeo; Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola e presidente della Commissione episcopale per la liturgia. Questultimo aveva appoggiato, nei mesi scorsi, la lettera inviata al Pontefice da un gruppo di liturgisti italiani per chiedergli di non procedere con la liberalizzazione dellantico rito. Nei loro interventi hanno sottolineato come il Motu proprio di Benedetto XVI rischi di creare disagio perché lecclesiologia presente nel vecchio messale sarebbe «incompatibile» con quella scaturita dal Concilio Vaticano II. Proprio per questo, hanno chiesto che la Cei preparasse un documento interpretativo del testo papale. E si può ben supporre che sperassero in uninterpretazione restrittiva.
Dopo i contrari, però, si sono levati i commenti a favore. Il presidente Bagnasco e i cardinali Camillo Ruini, Carlo Caffarra e Angelo Scola sono intervenuti difendendo il Motu proprio «Summorum Pontificum» e il gesto di riconciliazione in favore dellunità della Chiesa sotteso alla decisione di Benedetto XVI. Si è riproposto, allinterno del Consiglio permanente della Cei, qualcosa di simile a quanto avvenuto alla fine del marzo scorso, quando, alcuni dei vescovi presenti, dubbiosi sulla Nota riguardante i Dico, avevano cercato di ammorbidirne la portata «politica». Questa volta, invece, cera la volontà di pubblicare un testo per uninterpretazione «italiana» delle parole del Papa. Allora come oggi sono stati decisivi gli interventi di alcuni porporati, primo fra tutti lex presidente della Cei Ruini.
Anche senza documento della Cei, il processo «interpretativo» del Motu proprio è in atto e le diocesi si comportano nel modo più vario. Il vescovo di Albenga Mario Oliveri, due giorni fa ha pubblicato una lettera presentando positivamente il Motu proprio e richiamando alla necessaria cura per la celebrazione di qualsiasi messa. Ribadisce invece la sua posizione - vietando lapplicazione delle direttive papali al vecchio rito ambrosiano - la diocesi di Milano guidata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo vicario, Luigi Manganini, ha ribadito nei giorni scorsi al clero la decisione, restringendo anche lapplicazione del Motu proprio nelle zone della diocesi dove vige il rito romano in quanto non ci sarebbero gruppi stabili di fedeli (nonostante da 23 anni sessanta persone assistano ogni domenica alla messa in ambrosiano antico alla chiesa del Gentilino e a Seregno vi sia una celebrazione domenicale dei lefebvriani).
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