Iervolino e Bassolino, duro colpo Cresce l’ira sul governo «amico»

Le amministrazioni locali denunciano la propria impotenza e accusano: ci aiutano solo a parole

Fabrizio de Feo

da Roma

Nel rosario di passi falsi inanellati dal governo Prodi, l’emergenza «Napoli violenta» aggiunge un altro punto di sofferenza alla navigazione dell’esecutivo. Dopo l’indulto e la Finanziaria, il caos campano diventa una sorta di vetrina simbolica, una rappresentazione anche dolorosa dell’impotenza delle amministrazioni di centrosinistra - l’Unione a Napoli è al governo ininterrottamente da 15 anni, prima con Antonio Bassolino poi con Rosa Russo Iervolino - di fronte a uno status consolidato di degrado. La condizione di sofferenza della città, insomma, si traduce in un duro colpo per l’immagine dell’Italia e dell’esecutivo visto che, sostanzialmente, la compagine governativa si trova a ipotizzare l’invio di una sorta di missione militare di pace nel capoluogo campano. Come dire che, dopo aver nascosto la polvere sotto il tappeto per molti anni, il conto del degrado di una città apparentemente senza speranza e senza salvezza, dovrà essere pagato.
Romano Prodi, per il momento, si mantiene sulle generali ed evita di elevare Napoli a «questione nazionale». «Quando si parla di emergenza criminalità non si deve parlare solo di Napoli. Questo è un problema di tutto il Mezzogiorno» dice il presidente del Consiglio. Il premier, naturalmente, offre rassicurazioni sul suo impegno. «Abbiamo lavorato a fondo. Nei giorni scorsi ho avuto un lungo approfondimento con i ministri interessati e con quello dell’Interno. Intendiamo lavorare in più direzioni». Prodi evita, però, accuratamente di citare la proposta di Mastella sull’invio dell’esercito. «Non si possono isolare le emergenze. Non si può parlare un giorno di Napoli, un giorno della Calabria e un giorno della Sicilia. È un discorso ad ampio respiro».
Il messaggio è chiaro: Mastella può dire ciò che vuole ma non è lui, da solo, a decidere né è solo la situazione di Napoli, al quale anche l’Osservatore Romano dedica un titolo allarmante («Un clima di morte opprime la città») a preoccupare il governo. L’idea è che quella dell’esercito sia una soluzione tampone e completamente estemporanea e che l’escalation criminale che ha investito il Sud vada affrontata nel suo complesso, senza sfuggire, nella ricerca di un rimedio, a un’ottica di «ampio respiro». Una tesi rilanciata anche dall’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, per il quale «la criminalità va combattuta con la prevenzione e non con la repressione». L’analisi prodiana, peraltro, sembra essere corroborata anche da limitazioni di ordine «pratico». Qualcuno, infatti, suggerisce che l’invio dell’esercito a Napoli avrebbe costi molto elevati e che quindi la soluzione sarebbe poco compatibile con lo stato attuale delle casse governative. Un problema questo che si va ad aggiungere ai malumori che dalle parti di Palazzo San Giacomo circolano per la presunta parsimonia dimostrata dall’esecutivo verso Napoli.

La convinzione è che il «governo amico», alla prova dei fatti, non si sia rivelato tale. E il fatto che l’esecutivo continui a sfogliare la margherita - esercito sì esercito no - senza scegliere misure drastiche e idonee certo non aiuta a rimuovere questa sensazione di solitudine.

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