Politica

ILLUSIONISMI E SGAMBETTI

ILLUSIONISMI E SGAMBETTI

Ci sarebbe poco da scandalizzarsi: se i partiti corrono ciascuno con il suo simbolo vuol dire che devono competere anche con gli altri partiti della coalizione. Ma questa necessità dovrebbe essere soddisfatta con stile: riaffermare la propria identità (che vuol dire marcare la propria storia, la propria differenza, quell'elemento in più che ciascun partito pensa di offrire all’elettore) dovrebbe bastare. Ma lo stile decade e anzi sparisce quando anziché affermare l’identità si parte mollando all'inizio della gara un calcio negli stinchi ai compagni di coalizione.
E purtroppo è quello che ha fatto ieri Pier Ferdinando Casini, persona per la quale nutriamo stima, ma che ieri si è politicamente danneggiato da solo attaccando in modo goffo il leader della coalizione di cui fa parte fino a farsi sbeffeggiare dagli avversari del campo avverso, rinunciando a qualsiasi elemento di attrazione e simpatia.
Casini non ha nominato Berlusconi ma ha fatto un discorso piuttosto gridato e piuttosto generico, in cui ha alluso: già alludere fa un cattivo effetto, ma alludere a Berlusconi parlando di «illusionismi» significa ammiccare in modo poco leale alla propaganda stessa dell’avversario, prendendo in prestito la retorica della sinistra contro Berlusconi. Si potrebbe ribattere a Casini con una battuta altrettanto mediocre ricordandogli che un numero dell'illusionista l’ha portato alla vittoria di cinque anni fa e un colpo di bacchetta magica l’ha trasformato in un apprezzato presidente della Camera.
Devo dire, da testimone della politica italiana, che quando sento questa ridicola tesi dei cinquantenni che scalpitano per far fuori i sessantenni, provo la stessa irritazione che mi provocano le «quote rosa» e altri opportunistici luoghi comuni. Ma sembra che Casini, stando ai commenti dei suoi uomini, scalpiti non tanto per prendere più voti, ma per partecipare alla corsa per la futura leadership. Noi pensavamo che la leadership non fosse una corsa a sgambetti e gomitate ma una qualità politica riconosciuta dagli elettori: Berlusconi, qualsiasi cosa si possa pensare di lui, si è presentato agli italiani con una faccia, la sua, un’idea, la sua, un programma, il suo, e ha vinto così le elezioni del 1994 con un partito confezionato in due mesi. Quella si chiama leadership. Romano Prodi, secondo noi, malgrado il pompaggio mediatico non ha alcuna leadership nel Paese perché non ci ha ancora detto due cose: come faceva a sapere l'indirizzo dell'appartamento in cui Aldo Moro era interrogato dalle brigate rosse, e che cosa diavolo farebbe, esattamente, se mai andasse al governo. Gli hanno detto di bofonchiare con aria grave che ci vogliono riforme rivoluzionarie, ma lui dimentica di spiegarcele perché non le conosce nemmeno lui.
Ma Pier Ferdinando Casini, che ha numeri e qualità, se vuole convincere, come è legittimo, che è l’uomo del futuro, dovrebbe spiegare in modo forte e chiaro qual è il Paese che ha in mente, come realizzarlo, con quali risorse e difendendo quali valori. Attaccare come ha fatto ieri in modo fumoso e aggressivo tutto e tutti ma in particolare il presidente del Consiglio, non è un esercizio di leadership ma di politicuzza all’italiana. Davvero pensa che sia una cosa seria gridare «basta illusionisti» riferendosi all’attività di governo più lunga, più densa di riforme e più drammatica della storia d’Italia? Gli effetti sono stati negativi perché anche la sinistra ha fiutato ieri un tocco di genericità e un altro di ingratitudine perché Casini non spiega, se davvero ci furono giocolieri e illusionisti, da quale parte del tavolo con il cappello a cilindro si trovasse.
p.

guzzanti@mclink.it

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