Indagine sul Nilo per salvare l’Impero romano

La faccenda doveva intrigare perfino uno che, impermeabile a moine e mollezze, accettava omaggi da cortigiani e corteggiatori solo previo passaggio dai barbieri fuori corte e pronta tonsura di riccioli e frangette. Doveva toccare uno che, imperioso, impassibile a sentimenti e tenerezze, aveva progettato anche la pianta della residenza delle vacanze sul disegno tetragono d’un castrum. Uno che, accampato come un milite nella villa dalmata di Spalato, non coltivava che cavoli nelle sue aiuole spogliate di rose, e allevava segugi per fiutare tracce di oli balsamici e profumi sui calzari degli ospiti da cacciar via dai suoi giardini. Costui, che si direbbe austeramente spartano non fosse stato augusto imperatore romano, era il princeps Diocleziano: regnante sulla tarda latinità del IV secolo dopo Cristo.
E la faccenda, amorosa, scandalosa, completa di tutti i teneri, svenevoli, femminei, annessi e connessi, era una vecchia storia. Era la love story consumata due secoli prima tra il memore Adriano e l’indimenticabile Antinoo misteriosamente affogato in Egitto e fulgidamente perpetuato in centinaia di busti e ritratti fin oltre l’antichità. Per definizione non sarebbe mai potuta cadere nell’oblio. Se una scrittrice incline meno di chiunque altra a indulgere negli eccessi della femminilità - Marguerite Yourcenar - non poté togliersela dalla testa per un trentennio, per l’arco più fervido della maturità artistica in cui tra i venti e i cinquant’anni diede vita e Memorie al suo Adriano, non poteva non farci più che un pensiero un’autrice come Ben Pastor. Che l’aureo culmine creativo dei cinquant’anni l’ha giusto sfiorato. E della sua attrazione fatale per disciplina militare e virtus latina, rigor soldatesco e classicità virile, pax armata da impero romano e guerra guerreggiata dagli eserciti del Reich (ne è testimone Martin Bora: l’ufficiale antihitleriano della Wehrmacht protagonista dei suoi noir pubblicati da Hobby & Work) non ha mai fatto mistero.
Ne fa proprio un mistero, invece: nell’ultimo nerissimo o, se si vuole, radioso giallo Il ladro d’acqua, tradotto «con la gestualità mentale della mano che cuce con cura», ci ha detto la traduttrice Paola Bonini, per Frassinelli (pagg. 379, euro 17). Ma va a pescare nelle acque limacciose del Nilo per estrarre e sciogliere al sole l’enigma dell’annegamento del bell’Antinoo. A indagare per lei, o per conto del vecchio Diocleziano che, richiamatolo dopo la campagna di Siria, toltolo alle coorti di cavalleria, lo spedisce in Egitto come speciale legato imperiale, è Elio Sparziano. È in persona lo storico soldato, il legionario erudito, il militare autore della Historia Augusta che, impugnati in successione spada e stilo, meglio di chiunque altro poteva sondare le correnti del fiume africano in cerca della verità sull’antico favorito di Cesare.
Tra i mistery che, a firma dell’italo americana, si infittiscono - e dacché si è acceso Lumen, il primo noir votato nel 2000 al serial detective in uniforme tedesca, fino agli ultimi racconti medievali (Arduino e i pellegrini, appena uscito in Anime nere, Mondadori) o praghesi (La camera dello scirocco, in uscita a settembre da Hobby & Work) non vorremmo veder diradarsi né estinguersi - brilla una seducente certezza.

Questo romanzo latino, The Water Thief, è il più bello della scrittrice che, ormai statunitense per domicilio (nel Midwest), idioma artistico (l’inglese, «allenato sulla lettura di Melville e Thoreau» ci confida) e cattedra d’insegnamento storico (all’Università del Vermont), risale lungo il corso di acque «furtive» e attraverso le province esotiche dell’Urbe, alle sue più autentiche origini romane e all’intima passione per l’archeologia. VerBENa Maria Volpi Pastor è infatti nata a una trentina di chilometri dal Caput Mundi (o Kaputt Mundi titolava nel 2003). Cresciuta all’ombra e nell’aura magnetica di Villa Adriana a Tivoli.

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