Margherita Boniver*
Il partito trasversale giustizialista è riuscito nella scorsa legislatura a impedire al Parlamento di varare un provvedimento generale di clemenza che contribuisse a rendere più umane e vivibili le nostre carceri. È dal 1990 che non ci sono indulti né amnistie nel nostro Paese: non esistono precedenti di un intervallo così lungo. Oggi lo stesso partito torna allattacco con il solito argomento: i provvedimenti di clemenza mettono in discussione il principio della «certezza della pena».
Si tratta di una posizione che rivela disumanità e una profonda incultura costituzionale. In primo luogo, lindulto e lamnistia sono previsti dalla nostra Costituzione. E non possiamo certo accusare i costituenti di avere inserito nella Carta fondamentale un istituto contrario ai principi del diritto. Lattuale emergenza carceraria richiede un intervento immediato anche per unelementare questione di umanità. Secondo la Costituzione, la pena deve essere scontata in maniera dignitosa, con finalità essenzialmente rieducative. Di fatto, il sovraffollamento e le penose condizioni igieniche e logistiche delle nostre carceri rendono impossibile lattuazione di questo principio.
È possibile varare in tempi brevi un indulto (non un «indultino» come quello della scorsa legislatura, che è stato una goccia nel mare), in occasione della festa della Repubblica del prossimo due giugno. In questo modo si contribuirà ad alleviare nellimmediato la situazione delle carceri. Ricordiamoci che siamo alla vigilia dellestate, un periodo tradizionalmente a rischio nel mondo penitenziario. Illudere ancora una volta i detenuti sarebbe cinico e irresponsabile. Successivamente si potrà passare allo studio di un provvedimento di amnistia, che dovrebbe essere accompagnato anche da una generale riflessione sullo stato della giustizia.
Il peggioramento della situazione carceraria, infatti, non è solo una questione logistica. Essa è anche una questione politica e culturale in senso lato. Se è vero che «un Paese si giudica da come tratta i suoi prigionieri», come amava dire Churchill, allora lItalia da troppo tempo mostra unimmagine decisamente giustizialista. Lorigine è da ricercarsi negli anni bui di Mani pulite. Allora si cominciò a usare su larga scala la tecnica, già in uso durante il regime fascista, di fare del carcere uno strumento di indagine e persino di anticipazione della pena. È in quel clima giustizialista che nasce la riforma dellamnistia e dellindulto: mentre prima bastava la concessione del presiedente della Repubblica su legge di delegazione del Parlamento, oggi occorre una deliberazione a maggioranza dei due terzi in ciascuna Camera.
Il giustizialismo di Mani pulite ha rafforzato la rappresentazione del carcere come esito naturale delle decisioni del giudice. Lattenzione sulla questione carceraria, poi, è cresciuta, contribuendo allacuirsi della tensione allinterno delluniverso penitenziario. Ciò è andato ad accentuare i danni derivanti dal panpenalismo, che affligge lItalia e che ha effetti diretti sullaumento del numero dei detenuti. Insomma, se si dorme in otto laddove bisognerebbe essere in quattro, la responsabilità è del sistema politico e delle mancate riforme.
Dobbiamo lasciarci alle spalle la cultura esasperata dellemergenza e del giustizialismo che troppo a lungo hanno avvelenato la vita pubblica del nostro Paese e hanno contribuito a rendere disumana e crudele la vita in carcere. Il Parlamento viene direttamente chiamato in causa. La maggioranza di governo, su questa come su tante altre questioni, appare debole e divisa.
*parlamentare di Forza Italia
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