Dopo un infarto bisogna allenare i muscoli

In Italia ogni anno vengono dimesse dai reparti ospedalieri «per acuti» di cardiologia circa 100mila persone. Solo un quarto viene in seguito trasferito in strutture di cardiologia riabilitativa. Nella maggior parte dei casi questo non avviene per chi ha subito un infarto, situazione che può portare questi pazienti, che hanno lesioni ischemiche, a sviluppare, nel tempo, uno scompenso cardiaco. Si tratta, purtroppo, di una patologia con una prognosi severa e irreversibile. Si ritiene che per frequenza di Drg (Diagnosis-related group, gruppi omogenei di diagnosi) a cui consegue un sovraccarico economico, lo scompenso cardiaco sia al primo posto in Italia e in Europa tra le malattie cardiovascolari, e al secondo in assoluto in Italia dopo il parto cesareo. Ne parliamo con il dottor Maurizio Volterrani, direttore dell’Unità operativa di riabilitazione cardiologica, una delle eccellenze dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) San Raffaele Pisana di Roma. Il suo curriculum comprende esperienze in Italia (Fondazione Salvatore Maugeri), Israele (dove ha approfondito la cardiologia con il famoso professor Jan Kellerman) e Gran Bretagna (Royal Brompton Hospital di Londra).
La filosofia dell’unità operativa rispecchia a fondo quello che deve essere lo spirito di un Irccs: assistenza e ricerca. «Viene da sé che un maggior ricorso alla riabilitazione per tutti gli i pazienti cardiologici che hanno avuto un evento acuto contribuirebbe a migliorarne la prognosi, ridurre le riospedalizzazioni e i costi economici e umani sempre meno sostenibili. Si ritiene - spiega il dottor Volterrani - che nel 2050 non ci sarà più nessun Paese europeo in grado di offrire un’assistenza adeguata agli affetti da scompenso cardiaco. A meno che, ovviamente, non si trovi una soluzione per ridurre questa patologia o la sua riacutizzazione». L’unità operativa di cardiologia riabilitativa dell’Irccs San Raffaele Pisana offre assistenza a 360 gradi ai pazienti dimessi dai reparti di cardiologia. «Abbiamo però deciso di porre un’attenzione particolare al tema dello scompenso cardiaco», sottolinea il responsabile del reparto. «Un contributo in questo senso deriva dalla mia esperienza su questa problematica maturata in Inghilterra, dove abbiamo messo a punto una teoria nuova che sposta l’attenzione dal cuore a tutto ciò che gli sta intorno, e soprattutto alla muscolatura periferica».
Perché questa scelta? «Il paziente affetto da scompenso cardiaco tende a vivere la sua vita seduto in poltrona, angustiato da problemi di respirazione e da astenia. La qualità della vita viene compromessa. La ragione di questa situazione è in gran parte determinata da un decondizionamento della muscolatura periferica, che instaura un circolo vizioso peggiorativo che si autoalimenta e determina un elevato grado di disabilità. Il nostro approccio innovativo consiste nell’intervenire per migliorare la funzione di quest’ultima. Si è infatti scoperto che riallenando la muscolatura periferica si migliorano le performance generali del paziente. All’Irccs, dove la ricerca è fondamentale, cerchiamo anche nuovi metodi di allenamento, uniti anche a nuove terapie farmacologiche». Per l’allenamento, viene fatto ampio uso sia degli esercizi a corpo libero (callistenici) sia alla classica bicicletta (cicloergometro). «Nel nostro sforzo di ricerca - continua Volterrani - siamo arrivati a mutuare i metodi usati dai maratoneti. Con un singolo prelievo di sangue siamo in grado di concepire un tipo di allenamento specifico per il singolo paziente. Come le terapie farmacologiche, anche l’allenamento va definito e dosato in modo personalizzato». E per quanto riguarda l’aspetto farmacologico? «Usiamo - risponde il responsabile della cardiologia riabilitativa del San Raffaele Pisana - anche ormoni, come quello della crescita o il testosterone, per aiutare la muscolatura a diventare più forte, scattante e resistente». Per uno sportivo questo sarebbe doping, in questo caso, invece, è un’attività a fin di bene. Questa metodologia sviluppata dal San Raffaele è stata pubblicata su prestigiose riviste internazionali, come il Journal of American College of Cardiology».
Come Irccs, accanto alla «ricerca traslazionale», al San Raffaele viene effettuata anche ricerca pre-clinica, operando su cellule e molecole. «Nel nostro caso - spiega Volterrani - ci siamo concentrati nella ricerca del modo idoneo a far sì che le cellule progenitrici degli stessi pazienti non si trasformino, come spesso accade in soggetti sedentari, in cellule adipose ma muscolari. Un altro ambito di eccellenza sviluppato alla cardiologia riabilitativa dell’Irccs è quello della telemedicina, la coniugazione tra assistenza sanitaria e nuovi sistemi telematici».
«Anche per prevenire frequenti riospedalizzazioni - sottolinea l’esperto di riabilitazione cardiologica - possiamo dotare i nostri pazienti di apparecchi che ci permettono di monitorare da remoto gli effetti degli allenamenti che abbiamo loro prescritto oppure lo stato di salute.

All’Irccs abbiamo creato una centrale operativa con infermieri professionali opportunamente addestrati che sono in grado di mettere in contatto il paziente con lo specialista oppure dialogare con i medici di base».
Il tutto all’insegna del miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza - anche economica - della riabilitazione.

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