Il calcio è bello e vario, anche se avariato. Talmente vario che basta una settimana per ribaltare pronostici e sentenze, per rivedere opinioni e cancellare le preoccupanti cartelle cliniche di calciatori, allenatori e, dunque, squadre. Si tratta di quello che è accaduto negli ultimi sette giorni dalle parti del campionato nostrano. Chi era sperduto si è ritrovato, chi era perduto è tornato vincente, chi pensava di essere di nuovo tra gli angeli ha rivisto l'inferno. Prendete l'Inter e, assieme ai campioni del mondo, il Napoli, che, per combinazione, domani sera se la giocano al Meazza. C'era una volta Gasperini, il padre di tutte le battaglie perse. C'era una volta l'Inter confusa e confusionaria. L'allenatore ha pagato il conto (senza coinvolgere avvocati, sindacati ma salutando cortesemente), di colpo gli scolari indisciplinati e svogliati hanno ritrovato il gusto dello studio, ognuno è tornato al proprio posto come diceva il grande Osvaldo Bagnoli (el tersìn fa el tersìn, el mediàn fa
e così via), due partite hanno dimostrato che l'uomo giusto, secondo parole di Moratti Massimo, era Claudio Ranieri ma nessuno ha voluto domandare al presidente emerito come mai il giusto non sia stato convocato tre mesi prima, essendo lo stesso Ranieri Claudio libero da contratti.
Inutile insistere, l'Inter è di nuovo con la testa sgombra, non ancora nel muscolo, qualche affaticamento, qualche logorio del football moderno, qualche scoria di una preparazione condizionata da un calendario allucinante (Pechino, tanto per dire). Il Napoli ha scoperto che non solo doveva passare la nottata eduardiana ma che i miracoli li può fare, e nemmeno a richiesta, soltanto San Gennaro, anche se dopo il trionfo di champions sul Villareal, sulle gradinate dello stadio, è stata mostrata l'immaginetta di padre Pio! Vittorioso fuori casa dunque. Mazzarri aveva provato a fare il furbo con il cosiddetto turn over, fuori in sette, come i giorni della rivoluzione, ma le riserve non sono come i titolari, dunque meglio andare sul sicuro e il campo ha dimostrato che le chiacchiere sul gruppo, sull'umiltà, sul gioco di squadra servono quando non hai campioni veri. Sarebbe come se De Laurentiis, il presidente, decidesse di fare interpretare il prossimo cinepanettone a quattro cabarettisti di Forcella, bravi, divertenti e basta.
Comunque in sette giorni Inter e Napoli hanno capito che nessuno ha inventato nulla, che gli imbonitori di un football diverso sono pericolosi, che la normalità è la cosa più difficile da frequentare. La stessa lezione è servita, almeno si spera, a Luis Enrique salvato da un gol di Osvaldo ma sull'orlo di una crisi di nervi oltre che di risultati. Lo spagnolo di Gijon non si è ancora liberato delle presunzioni (non ha voluto un assistente "indigeno", come tutti i suoi colleghi fanno in ogni parte del mondo, Mourinho con Baresi all'Inter e a Madrid con Karanka e Chendo, Mancini con Pearce, Ancelotti con Wilkins) ma domani affronta la squadra più in forma, l'Atalanta che si è tolta il peso dell'handicap di classifica ma, proprio per questo, potrebbe essere meno affamata. Sta di fatto che una settimana fa Luis Enrique era sul punto di e oggi già prepara il derby, così lontano e così vicino.
Prendete ancora il Milan, un ospedale ambulante. Doctor house Seedorf e l'assistente Ibrahimovic hanno distribuito le vitamine necessarie, il peggio è passato, va da sé che domenica sera contro la Juventus la cartella clinica dei campioni d'Italia necessita di una verifica sul campo. Stesso discorso per la Juventus che fino a una settimana fa era la squadra di gran moda, un usato sicuro sul quale puntare ma, dopo l'ics di Catania, è tornata in officina, il motore non sembra adatto al gran premio.
Totale: se in sette giorni si provvide alla Creazione, nel football lo stesso tempo è servito alla rivoluzione, di pronostici e opinioni. Si attendono conferme e smentite. Del resto la palla è rotonda. Come la testa. O no?
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