Il sogno è finito. Dieci, undici, ventisette, quarantacinque, settantanove, ottantotto. Numero jolly: quarantadue. Cè qualcuno, sfacciato, che in un colpo solo si è preso tutto. Tutto. È uno che vive a Bagnone, una paese nascosto tra Massa e Carrara, poca gente, una manciata di bar. Uno di questi è il Bar Biffi, quello che sta in piazza Roma, al centro di quattro strade. È arrivato e ha speso due euro, come abbiamo fatto tutti, dicendo: non si sa mai. Solo che lui ha vinto e in un attimo ha spazzato milioni e milioni di progetti, speranze, conti, domande. Ma se vinci che ci fai con quei soldi? E ognuno aveva la sua bella risposta. Cera quello che come Fantozzi manda a quel paese il capufficio. La ragazza sulla trentina, abbronzata ai Tropici, con la lista di tutti i posti dove non è mai stata. Cera quello con la casa a New York, vista Central Park, quello che per prima cosa cambiava vita, lavoro, moglie, suocera e condominio. Cera chi voleva mettere su un agriturismo nella valle del Sacco, andare a Santo Domingo con una velina nuova di zecca, provare lebbrezza di portare i soldi in Svizzera, fregarsene di sensi unici e soste vietate, pagando le multe come Gheddafi. Era unorgia di scommesse e possibilità ed è questo il bello della vita: lasciarti una porta aperta. Era la speranza, che un giorno sì e un giorno no, ti portava in tabaccheria, in una Sisal daccatto, con la macchinetta che ruminava i numeri e vomitava la schedina. Bastava metterla in tasca per tirare un sospiro di sollievo. Magari cambia tutto. Magari va bene. Magari sei tu quel bastardo con la sestina giusta. E invece no. Il bastardo vive a Bagnone.
Quasi sette mesi, 87 «niente da fare» e due miliardi di euro spesi da un popolo intero. Tanto è durato il sogno. Abbiamo vissuto così, con le notizie sulla crisi snocciolate come una triste litania, la paura di non arrivare a fine mese, le nubi allorizzonte, lestate come una parentesi da lamentosi e menagramo e quella schedina come unassicurazione, un pegno da pagare alla fortuna, perché chi non gioca non vince. Qualcuno faceva la colletta con gli amici, qualcuno tra un Gratta e vinci e una slot machine ci metteva anche il superenalotto. Non si sa mai. Ma il sei non arrivava e ogni maledetto martedì, giovedì e sabato, la cifra cresceva. Il jackpot misurava i desideri di un popolo. Il jackpot era unauto nuova, poi una casa, lestinzione del mutuo, un negozio in piazza Dante, una corsa verso la pensione, una squadra di calcio, con Ibra e Kakà, tutta la vita davanti, senza rotture di scatole, senza pensare a nulla. E ogni volta di più, ogni volta qualcosa di grande, fino a unidea di denaro che non si sa neppure quantificare. Eccolo il malloppo. Ecco quanto valgono tutti i sogni distrutti degli altri: 146,9 milioni di euro. Ora stanno lì, a Bagnone, chiusi in una sola mano, nelle tasche di una sola persona. Nessuno, dicono le statistiche, ha vinto come lui. È bastato un attimo. La signora Annamaria Ciampini, padrona del Bar Biffi, racconta la fine dei giochi così: «Stavamo guardando la partita del Milan, quando qualcuno è arrivato e ha detto, qui dentro avete vinto al Superenalotto». È andata. Sfumata. Perduta.
Martedì si ricomincia. Si va nella solita ricevitoria, un po più disillusi, con i sogni a misura duomo, come per non esagerare, perché la fortuna non sopporta i gradassi e quelli che esagerano, ma si ferma nei posti piccoli, dove ci sono quelli che neppure ci credono, mettono lì due euro, per abitudine, come si prende il caffè. Il collega della scrivania accanto dice che si riparte da 38 milioni e neppure quelli, a pensarci bene, fanno schifo. Resta solo quel senso di rabbia e di invidia. E cerchi di immaginarti il bastardo, luomo dei sogni rubati. È vecchio? È già ricco? È un parroco, un vescovo, un carabiniere? È una donna che conosce la magia dei numeri? Poi la barista dice: «So chi è, non è né giovane né vecchio». E il sindaco di Bagnone: «Mi auguro che faccia qualcosa per il Paese».
Cosa ci farà con i 146,9 milioni di euro? Ecco la differenza. A noi non resta che fare i conti sui sogni di un altro.
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