"Io, sopravvissuta a Mengele Voleva cambiarmi gli occhi"

Gli esperimenti dovevano farla diventare bionda con gli occhi azzurri. La sua gemella è morta

L'ossessione era per i colori. Occhi azzurri e capelli biondi per tutti secondo i codici dalla razza ariana. Rita Prigmore non rientrava in quei canoni e oggi è una sopravvissuta scampata alle sperimentazioni naziste del 1943. A settant'anni racconta la sua storia di cavia e ha consegnato la sua testimonianza al museo dell'Olocausto ideato da Steven Spielberg, oggi gira il mondo con i volontari di Sant'Egidio. Spiega e si commuove Rita, figlia di sinti, di gipsy, nel ricordare la follia nazista. «Nel mondo di Hitler tutti avrebbero dovuto essere biondi con gli occhi azzurri. Mi hanno strappato dalle braccia di mia madre appena nata. Volevano cambiarmi il colore degli occhi». Non ci sono riusciti, i suoi occhi sono rimasti verdi.

Ma Rita non era sola, con lei c'era Rolanda, la sorella gemella, identica a lei. «Lei è morta dopo sei settimane. Non aveva ancora compiuto due mesi». Uccisa dagli stessi assurdi esperimenti di eugenetica nella clinica dell'università di Wuerzburg, in Baviera, dove il dottor Werner Heyde, membro chiave del programma eutanasia nazista, operava in stretto contatto con il suo maestro Joseph Mengele. La famiglia di Rita rientrava nel programma, il padre musicista e la madre ballerina, erano già stati inseriti nel programma per essere sterilizzati dagli «igenisti razziali». Gli zingari secondo Hitler non avevano diritto ad avere figli. Eppure, proprio quando l'intervento è già stato fissato, la mamma di Rita rimane incinta. Il destino gli da due gemelle.

Quando gli «igenisti razziali» lo scoprono arrestano la famiglia. A Theresia, la mamma di Rita viene permesso di continuare la gravidanza a condizione che i bambini vengano inviati, appena nati, alla clinica dell'università di Wuerzburg. Lì il professore Heyde, allievo di Mengele è specializzato in esperimenti su gemelli. Theresia non ha scelta. Le bambine vengono prese. Solo una resiste. Nell'aprile '44 la Croce Rossa manda una lettera alla famiglia con le istruzioni per andare a riprendere Rita. Poi, per anni l'oblìo. «Per 36 anni mia mamma mi ha raccontato il meno possibile. Ero una bambina debole, stavo male, avevo dolori alla testa lancinanti, e per questo ero stata esonerata dall'obbligo di andare a scuola».

Da grande Rita si trasferisce negli Stati Uniti, si sposa, nascono dei figli, oggi ha dei nipotini. La svolta, a 36 anni. «Ero al volante, mi sono sentita male. Ho fatto in tempo a fermarmi e mi sono risvegliata all'ospedale con un medico che mi mostrava la lastra: dietro all'occhio le ossa erano segnate da una strana cicatrice». A quel punto ho saputo da mia mamma la verità. La sorellina che ho sempre desiderato in realtà l'avevo avuta ma era morta in modo così atroce.

Un giorno mia madre in ospedale aveva trovato me con la testa fasciata e Rolanda abbandonata senza vita nel bagno, uccisa dagli esperimenti che avrebbero dovuto cambiarci il colore degli occhi per gli standard della razza ariana. Mia madre mi prese in braccio e fuggì. Una settimana dopo io ero di nuovo in ospedale e lei era stata sterilizzata».

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