La squadra ombra che sosterrà Matteo fuori dal Palazzo

Gli uomini di cui si fida veramente non sempre occupano ruoli istituzionali. Questo valeva anche a Firenze

La squadra ombra che sosterrà Matteo fuori dal Palazzo

Esiste già un governo Renzi, senza interferenze, senza manuale Cencelli, senza poltrone, senza il pressing di Napolitano, i mugugni di Alfano e il mal di pancia di Cuperlo e Civati. Qualcuno potrebbe definirlo un governo ombra. Ma non pensate a camere segrete o a chissà quale complotto. È solo la tavola rotonda della gente di cui si fida. E sono loro che da tempo stanno preparando le bozze di riforme su lavoro, fisco, burocrazia, cultura, educazione e istituzioni che dovrebbero segnare la strada della «rivoluzione renziana». Il fiorentino sa che la sua impresa ha un coefficiente di difficoltà altissimo. Non può andare al governo a mani nude. Non può neppure muoversi con lentezza. Quello che deve fare deve farlo subito. Prima che i suoi avversari, interni e esterni, possano rendersi conto di ciò che sta accadendo. Se lo imbrigliano, se lo circondano, se lo frenano è finito. Fallito. I fuochi d'artificio non può improvvisarli fra una settimana. Sono già pronti.

È per questo che la sciarada del toto nomine è solo un aspetto della realtà renziana. I ministri saranno il governo in chiaro. Poi c'è la sua squadra. È una vecchia abitudine. Le poltrone non corrispondono esattamente alle teste. Gli uomini di cui si fida veramente non sempre occupano ruoli istituzionali. Questo vale a Firenze. Si ripete nella segreteria del Pd e si intravede anche al governo. È una sorta di doppio universo. Uno in chiaro e l'altro dietro le quinte. Materia e antimateria. I ministri di Renzi e i consiglieri di Matteo. Poi, in alcuni casi, può capitare che i due ruoli coincidano. Graziano Delrio, per esempio, uno che ha battezzato il numero di Renzi sul suo telefonino come Mosè, è senza dubbio un fedelissimo. Ma è anche uno abituato a ruoli in chiaro e quindi probabilmente siederà su qualche poltrona. Non è scontato che alla fine invece Maria Elena Boschi sceglierà il governo in chiaro. Baricco e Guerra di Luxottica si sono defilati, eppure il loro ruolo non sarà marginale.

Stesso discorso per il regista Fausto Brizzi. C'è il solito Farinetti. Guido Ghisolfi è di Tortona ed è un imprenditore che ha scommesso e vinto sulla bioeconomia. È uno su cui Renzi conta molto, perché ne apprezza il coraggio e le visioni strategiche. L'uomo che sta mettendo insieme i pezzi del Jobs Act è Marco Leonardi, docente di Economia politica alla Statale di Milano. Non è l'unico che fatica sulla grande riforma del lavoro. È quello però a cui tocca la revisione finale. E poi c'è il baluardo, un altro Marco, riservato, invisibile, sempre presente. È il gemello di Renzi. È il suo Gianni Letta.

Tesse, fila, ricuce. È paziente. È Marco Carrai. Un governo dottor Jekill e Mr. Hyde? Non esageriamo. Ma c'è il rischio che i ministri di Renzi sentano sulle spalle il peso degli amici di Matteo. E lì parte la rissa. Vinca il migliore.

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