"Anche in Italia fa paura. Parlarne in classe è ancora un tabù"

L'esperta Fa­biola De Clercq non si stupisce della notizia della ragazza anores­sica rifiutata da una scuola privata ingle­se: "Succede anche in Italia"

C'è passata anche lei. Con bulimia e anoressia ha convissuto per oltre vent'anni. Poi è guarita e ha deciso di raccontare la sua esperienza in un libro, per infrangere l'omertà che in Italia copre i disturbi dell'alimentazione. Fabiola De Clercq è fondatrice e presidente dell'ABA, un centro per lo studio e la ricerca sull'anoressia e la bulimia che ha sede a Milano. La notizia della ragazza anoressica rifiutata da una scuola privata inglese non la stupisce. «Succede anche in Italia», dice.

Ma davvero la presenza di una studentessa anoressica in classe potrebbe costituire un cattivo esempio per le compagne?
«È una cosa assolutamente idiota, anche perché le studentesse si possono ispirare da ben altre figure proposte quotidianamente da stampa e Tv. Casi del genere, purtroppo, sono frequenti ed è scandaloso perché rifiutare il diverso non è un insegnamento. Le scuole dovrebbero coinvolgere i ragazzi, parlarne in classe, incoraggiarli a stare vicino alla compagna anoressica provando a convincerla a curarsi. Non è mica contagiosa l'anoressia».

Nessun pericolo di emulazione, dunque?
«Se entra una ragazza malata in classe, una che fa la protagonista c'è già. Perché lo fanno per fare colpo. Anche nelle famiglie, quando c'è una sorella anoressica l'altra se ne guarda bene dal rifiutare il cibo perché sa che tanto tutte le attenzioni sono rivolte altrove».

È ancora difficile affrontare il problema dell'anoressia?
«C'è molta ipocrisia e razzismo, che nasce dell'ignoranza.

Recentemente mi è capitato di chiedere alla direttrice di una nota scuola di Milano se c'erano casi di anoressia nell'istituto e lei mi ha risposto “assolutamente no”, mentre io sapevo benissimo che ce n'era più di uno».

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