Roma - E ora siamo allo scontro tra Anm e Csm. Perché il presidente del sindacato delle toghe Rodolfo Sabelli e il segretario Maurizio Carbone insorgono contro le dichiarazioni di Michele Vietti, numero due dell'organo di autogoverno della magistratura, che ha osato criticare la decisione dei magistrati di Palermo di convocare come teste il presidente della Repubblica. «Interferenze» nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è l'accusa.
Giorgio Napolitano, come si sa, guida anche il Csm e in un'intervista Vietti ha detto che i pm siciliani, che hanno già ingaggiato con il Quirinale il disastroso braccio di ferro sulle intercettazioni condannato dalla Consulta, potevano evitare di insistere proprio sulle stesso punto.
Sabelli coglie l'occasione del comitato direttivo centrale dell'Anm e ci va giù duro, pur senza citare Vietti e parlando di «prese di posizione sul processo di Palermo. Va salvaguardato il diritto di critica - dice il leader del sindacato delle toghe - ma occorre evitare interventi che possano essere letti come interferenze nel processo». Poi Sabelli esprime «fiducia nella intangibilità della giurisdizione e nella serenità dei giudici» e ribadisce che «va salvaguardata l'autonomia della magistratura».
L'Anm, insomma, fa scudo ai pm palermitani che non devono essere neppure sfiorati da critiche. Il segretario dell'Anm Maurizio Carbone raccomanda «il rispetto della giurisdizione», soprattutto perché quello sulla trattativa Stato-mafia «è un processo delicato e ci sono già state troppe polemiche». Ma anche per gli altri meglio il silenzio, che si tratti del caso Ilva o delle vicende giudiziarie del Cavaliere. «Attacchi del tutto infondati che vanno respinti con fermezza», vengono definiti da Sabelli quelli sul processo Ruby. L'invito categorico a Vietti e a tutti quelli che parlano di giudici e pm è alla «sobrietà dei comportamenti».
D'altronde, perfino la sentenza della Corte costituzionale sull'illegittimità delle intercettazioni del capo dello Stato, è stata vissuta da alcune toghe come un'interferenza. E non ci fu grande «sobrietà», allora, nell'attacco di Antonio Ingroia, che la definì senza mezzi termini «politica», dimenticando le tante volte che le toghe e la sinistra si erano scagliate contro Silvio Berlusconi e il centrodestra proprio perché sospettavano orientamenti politici dietro ai verdetti dei giudici costituzionali. Ora l'ex aggiunto di Palermo, che ha coordinato le indagini sulla trattativa, ha definito «politico» e «punitivo» anche il provvedimento del Csm che lo assegna come pm ad Aosta, finito il fuori ruolo per l'incarico-lampo in Guatemala e l'aspettativa elettorale. Visto che non è stato eletto è rientrato in magistratura ma la nuova sede non gli piace e ha congelato l'incarico con le ferie in attesa dei ricorsi amministrativi, dedicandosi indisturbato all'impegno di leader di Azione civile. In questa veste, definisce «doverosa» la testimonianza di Napolitano.
Su questo, l'Anm non ha nulla da dire. Evidentemente, non giudica intaccata l'autonomia e indipendenza della magistratura, o almeno la sua immagine di imparzialità, da chi fa apertamente politica in toga. E neppure interviene il Csm, dove tutti sembrano aver dimenticato l'articolo 98 della Costituzione con il divieto assoluto ai magistrati anche della semplice iscrizione a partiti politici.
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