Milano - Il destino della neonata Agenda Monti passa per la Lombardia. Perché è qui che è sceso in campo, o «salito» come oggi vogliono si dica, l'ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. Il pezzo più grosso di un'armata che ha un generale, lo stesso Mario Monti, qualche sedicente colonnello e nessuna truppa. Un organico sufficiente per essere designati dall'alto a governare, ma assolutamente gramo per vincere le elezioni. Che siano politiche o regionali, come succederà appunto in Lombardia dove Albertini è stato convinto a rimettere in gioco la sua comoda, ma noiosa poltrona di europarlamentare dall'anima ciellina del Pdl guidata dal governatore Roberto Formigoni. Un marchio che Albertini ha cercato di far scolorare per sostituirlo via via con uno più à la page, definendosi ora il «piccolo Monti della Lombardia». Una virata rispetto al progetto originario, appoggiato da uno staff a trazione ciellina che gli è costato, tra l'altro, l'addio di Oscar Giannino e «Fermare il declino». E così ieri, per santificare la festa e il premier, Albertini lo ha accostato ad Alcide De Gasperi, spiegando che «la cifra morale e lo status politico di Monti sono i medesimi dello statista trentino. La via di Monti è quella del Partito popolare europeo: il suo rigore e l'impegno disinteressato per la Nazione sono anche i miei».
Una navigazione a vista che non ha ben chiaro l'approdo finale, dato che la divisione dei moderati avrà come unico risultato la consegna della Lombardia alla sinistra che appoggia l'avvocato Umberto Ambrosoli. Brava persona, ma anima di liberale (e pure monarchico) arraffata da un Pd che pur di vincere è disposto a far patti anche col diavolo. Ma è chiaro che se in campo ci saranno sia Albertini che Roberto Maroni, per la sinistra sarà un gioco da bambini. Anche se alle ultime regionali il Carroccio ha preso un milione e 117mila voti (il 22,46 per cento) e la lista Maroni promette di far da traino. Ecco perché Silvio Berlusconi anche a Natale ha lavorato a ricucire con la Lega. Proponendo poi a Formigoni una dichiarazione pubblica con la richiesta ad Albertini di rinunciare per consentire al centrodestra di vincere. A Formigoni andrebbero seggi al senato per lui e i fedelissimi di cielle Maurizio Lupi, Gabriele Toccafondi e Raffaello Vignali. Ma, intanto, per Albertini sarebbe scattata la promessa di un ministero, magari quello della Sanità, in un eventuale governo Monti (o Bersani). A patto che rimanga in campo in Lombardia, spianando la strada al Pd.
Ma Monti è un traino considerato poco sicuro dai ciellini che si sentirebbero molto più tutelati rimanendo nel Pdl, come sostiene Maurizio Lupi, il vice presidente della Camera che capeggia l'ala berlusconiana del movimento. Spaccato dall'europarlamentare Mario Mauro che vuole lo strappo con il Pdl per traghettare i ciellini verso lidi montiani. Ma ci sarà posto per loro nella nascente lista Monti? O il professore metterà il veto? Formigoni, racconta un fedelissimo che lo ha visto alla Vigilia, è lacerato dal dilemma. Perché seguire Monti è un salto nel buio, ma ascoltare Berlusconi significa mandar giù il rospo Maroni che Formigoni non ha ancora dimenticato essere responsabile della caduta anticipata della sua giunta. E non è un caso che don Julián Carrón, il successore di don Giussani alla guida di Comunione e liberazione, si dice suggerisca una sospensione dell'attività politica in attesa di tempi migliori. Tempi che stringono, perché il 24 gennaio andranno presentate le liste per le regionali, ma già il 14 quelle per le politiche. E certo Formigoni non potrebbe candidarsi al Senato nel Pdl il 14, per poi appoggiare Albertini il 24. «Monti - aveva detto giorni fa un Celeste ieri insolitamente silenzioso - è stato invitato dal Ppe ad assumersi la leadership del movimento moderato in Italia. Spiace che abbia detto di no a una possibilità che era importante». Ma è vero che per tenere la roccaforte lombarda (magari anche al Senato), Berlusconi non possa prescindere dai voti e dalla macchina organizzativa di Cl. Monti? «Mi ero sempre augurato che la sua discesa in campo potesse essere la grande opportunità per riunire tutti i moderati - ha detto ieri Lupi a Tgcom24 - Questo non è accaduto, nonostante Berlusconi fosse disponibile a fare un passo indietro».
Quello che ora chiede ad Albertini. Perché Pdl e Lega in Lombardia possono superare il 30 per cento. E con Grillo nelle schede elettorali (e magari Tonino Di Pietro che minaccia di candidarsi), per la sinistra non sarebbe più una passeggiata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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