Una volta si chiamavano «comunisti di sagrestia» quei democristiani di sinistra che sembravano figli di Palmiro Togliatti. Oggi si potrebbero chiamare «democristiani della Lubianka» i nipoti di Berlinguer che hanno scelto un ex democristiano come loro segretario. È fantastico: se venticinque anni fa ci avessero detto che i cloni di Fanfani, Moro e Andreotti avrebbero conquistato il Partito comunista, ci saremmo messi a ridere. Nessuno avrebbe osato scrivere un romanzo di fantapolitica del genere, neanche Gianfranco Piazzesi che nel 1974 ebbe un successo enorme con Berlinguer e il Professore che pubblicò come opera anonima.
Oggi non resta che prendere atto. Forse chi è giovane non può rendersi conto della portata di un evento come quello della conquista dell'apparato che fu comunista da parte di un rampollo della democristianeria. Ormai le spore dello Scudo crociato stanno agendo come quelle degli alieni immaginati negli anni Cinquanta: entravano nei corpi altrui, penetravano le menti e ne prendevano possesso. Certo, anche Letta, Alfano e Lupi vanno forte in questa marcia verso il potere, ma quel che ha realizzato ieri il sindaco di Firenze lo impone come campione: ha spazzato via l'apparato comunista e ha fatto perdere le staffe a D'Alema, affacciandosi sulla scena politica nazionale come Attila travestito da Fonzie.
Certo, la sua vittoria non è ancora definitiva e non lo sarà formalmente prima dell'Immacolata, perché devono ora votare i non tesserati. Ma intanto ha liquidato l'eredità della scuola delle Frattocchie e questo è un fatto storico anche perché da adesso saranno problemi amarissimi per Enrico Letta, dal momento che Renzi non sa che farsene della segreteria e punta come un siluro direttamente su Palazzo Chigi che vorrebbe espugnare come Lenin espugnò il Palazzo d'Inverno, sia pure per mano armata di Trotsky. E dunque il democristiano dal look descamisado e dalla parola mitragliante bolle di sapone, è ora in sella. Quando vorrà, il Palazzo sarà suo: dovrà farlo tremare con l'ariete delle elezioni ed espugnarlo con elezioni che è convinto di vincere perché conta sull'azzoppamento di Berlusconi, l'unico che può sbarrargli la strada. Dunque ha bisogno di bombardare il governo con minacce di crisi continue, a cominciare dal caso Cancellieri, per imporre a Napolitano di ingoiare il rospo e chiamare alle urne gli italiani. Perfino col Porcellum vivo e grugnante.
Per sferrare l'attacco finale Renzi ha bisogno di Berlusconi fuori gioco, convinto come è di essere lui un «berlusconino». Dunque il suo tasso di antiberlusconismo mediatico è destinato a raggiungere livelli incendiari per dimostrare di essere un originale e non una copia. Arduo programma. Certamente farà leva sul Nuovo centrodestra brandendo su quei parlamentari la clava della sopravvivenza politica dopo una tornata elettorale in cui non si faranno prigionieri. Renzi promette di essere il Natale per molti tacchini. Intanto i suoi, non fanno mistero di una vocazione secessionista: portarsi via il bottino del centro lasciando D'Alema e Vendola a battere i denti: anche in questo si vede il democristiano di razza, pronto a fracassare le ossa altrui per assicurarsi il potere che logora chi non ce l'ha.
Cambiati i tempi e gli stili, Renzi ci ricorda un democristiano toscano tosto e sicuro di sé: Amintore Fanfani che con pugno e volontà di ferro espugnò l'apparato della Dc clonandolo a propria immagine e somiglianza. Ma non andò troppo lontano perché appariva come antipatico e basso di statura. Renzi è invece sicuro di essere cool, fico e anzi irresistibile mantenendosi a una dieta leggerissima di contenuti ma ben zavorrata di chiacchiere.
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