Alfano stretto tra due fuochi Gli scissionisti hanno fretta

Formigoni è il più attivo, prepara lo strappo e arruola Schifani, che però si smarca: "Sono un ricucitore". L'obiettivo è arrivare a 300 firme per il Consiglio nazionale

Alfano stretto tra due fuochi Gli scissionisti hanno fretta

Un passato che trattiene, un presente che sfugge, un avvenire che tormenta. Sono giorni complicati per Angelino Alfano, alle prese con la partita della vita e la gestione delle spinte contrapposte che si agitano nella sua corrente, quella degli «innovatori» o dei «governativi».
L'ormai quasi ex segretario del Pdl appare stretto tra due fuochi. Da una parte gli scissionisti «senza se e senza ma» come Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi. Dall'altra quelli che lo seguono con molti dubbi e lo pressano dicendogli: «Qui rischiamo di restare nella terra di mezzo e fare la fine dei finiani. Serve una exit strategy precisa. Tu ci devi dire esattamente dove ci vuoi portare, se chiudi l'accordo con i centristi e se davvero Enrico Letta sarà in grado di tenere a bada Renzi fino al 2015. Non si può rischiare la scissione senza una prospettiva precisa». Non è passata inosservata, ad esempio, la presenza nel documento di Francesco Nitto Palma pro-Berlusconi delle firme di due uomini molto legati ad Alfano come Gioacchino Alfano e Raffaele Calabrò, anche se il documento del coordinatore campano è scritto in modo da non risultare troppo divisivo.
Gli scricchiolii, insomma, all'interno dello schieramento ci sono, anche se il lavoro di setaccio del territorio continua e le adesioni non mancano. Uno dei problemi che si stagliano all'orizzonte è, però, quello del tempo. Alfano avrebbe voluto guadagnarne il più possibile. Invece probabilmente dovrà fare i conti con una finestra che potrebbe chiudersi prima del previsto, con il possibile anticipo del Consiglio Nazionale. C'è poi la sua posizione che non è esattamente quella dei «duri» del suo schieramento ma è più sfumata e complessa. Mara Carfagna, intervistata da Il Tempo, ieri invitava Alfano «a non farsi tirare per la giacca da qualcuno che mira solo ad andare oltre, a superare il Cavaliere». Un rilievo che rispecchia i dubbi che resistono nella sua testa rispetto a un'operazione che da politica rischia di essere percepita come personale.
In assenza di una tregua e uno spiraglio che porti a una ricomposizione, il cammino verso il Consiglio Nazionale appare segnato. Il primo obiettivo è quello di ottenere il maggior numero di firme sotto il proprio documento così da acquisire credibilità e forza contrattuale. A quel punto potendo contare su circa 300 voti (obiettivo sussurrato da molti) puntare a una soluzione concordata, a quella via d'uscita onorevole rappresentata dalla piena disponibilità del simbolo Pdl, utile da spendere all'interno di una alleanza o di un rassemblement centrista. Naturalmente pretese sul simbolo potrebbero essere avanzate soltanto qualora si riuscisse a tenere i «lealisti» sotto la soglia dei due terzi in Consiglio Nazionale. Di certo in questo clima il lavoro dei pontieri si fa difficoltoso anche se Nunzia De Girolamo si dice convinta che Berlusconi possa essere «il presidente di tutti».
Sullo sfondo Roberto Formigoni prima annuncia a Domenica in che gli «alfaniani» hanno superato quota 40 senatori e hanno ormai «arruolato» Renato Schifani, a detta dell'ex governatore lombardo schieratosi di fatto con la sua assenza nell'Ufficio di presidenza (scelta di campo che il presidente dei senatori non conferma, rivendicando un ruolo da «ricucitore»). Poi lancia sul suo sito un sondaggio sul futuro del Pdl. Due opzioni. La prima: «Un partito con Berlusconi leader ma che decida ogni candidatura con le primarie e sostenga il governo fino al 2015».

La seconda: «Il partito è Forza Italia, l'unico leader è Berlusconi. Se il Senato vota la decadenza cade il governo e si va alle urne con Marina Berlusconi candidata». Una sorta di prefigurazione virtuale della conta reale che avverrà nel Consiglio Nazionale.

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