L'unica cosa certa è che Giorgio Napolitano ci sta mettendo la faccia fino in fondo, il resto è un gioco a perdere. È lì, nella sua ultima stagione al Quirinale, e da quando il voto ha ingarbugliato il futuro dell'Italia lui osserva la politica come se fosse davanti a una scacchiera. Sono giorni che ci pensa e ripensa, ma tutte le possibilità sembrano portare allo scacco matto. Non è che non ci siano mosse possibili, e qualcuna sta anche cercando di immaginarla, ma il costo per il mondo in cui è vissuto da sempre, e anche per il Paese, sembra comunque altissimo. L'obiettivo adesso è cercare un governo. I pontieri sono al lavoro, il nome su cui far convegere Pd, Pdl e Monti lo stanno cercando, per arrivare a qualcosa di concreto serve ancora tanta pazienza.
Un vecchio campione di scacchi degli anni '30, Eugene Znosko-Borovsky, sosteneva: «Non è una mossa, anche la migliore, che tu devi ricercare, ma un piano realizzabile». Il dilemma di Napolitano è tutto qui.
Una mossa in testa lui ce l'ha. Chiamatelo come volete: governo del presidente, o per le riforme, o per non tornare al voto, per tirare a campare, governissimo, o come sta aspettando di gridare al mondo Grillo grande inciucio. Il problema adesso è capire se ci sono le pedine e lo spazio per farlo. Finora ha fatto questo. Primo passo: sacrificare Bersani. L'uomo della più inutile vittoria di Pirro sta bloccando tutto. È un ostacolo a ogni possibile e disperata sortita. Napolitano gli ha detto in faccia che non vuole un governo di minoranza e al di là dei numeri risicati di fatto oggi Bersani è minoranza. È un uomo solo a cui tutti vogliono fare la festa, avversari e compagni di partito. La seconda considerazione è aver preso atto del fattore Grillo e del suo costo. Napolitano sa che il primo a brindare alla vittoria del governo del presidente è proprio il signor cinque stelle. Le possibilità che tutto questo sia un favore a lui sono altissime. E così sia.
Poi si arriva a questioni tattiche centrali. Il Quirinale da giorni ha mosso i pontieri, quelli che nel Palazzo costruiscono intese. I due attori principali, si sa, sono Gianni Letta e Massimo D'Alema. La difficoltà è mettere in piedi un governissimo con la speranza che assomigli a un governo per le grandi riforme. Quasi impossibile. L'obiettivo è farlo durare almeno due anni, ma molti ritengono che se arriva a ottobre è già un miracolo. Si ritiene che soprattutto il Pd alla fine imploda sotto questo peso. Non regge un'altra stagione di tecnici. Non regge gli sputi della base e il gioco facile dei vaffa di Grillo. L'aver messo in campo D'Alema forse non aiuta, lui è quello del patto della crostata, è l'anima (nera?) dei vecchi eredi del Pci. Non a caso nel suo partito ci sono tre tipi di risposte. C'è chi dice: è una medicina amara ma è l'unica cosa che possiamo fare. Chi spinge come i «giovani turchi» alla Fassina per andare subito al voto, con la speranza di non vedere Grillo alle stelle. E chi come Renzi pensa che la cosa più saggia da fare è starsene a Firenze e giocarsi la partita quando la tempesta sarà passata. In questa partita i montiani contano poco. A loro tocca dire di sì, ma servono solo al Pd a evitare l'ulteriore vergogna, per loro, di un governo da soli con Berlusconi. È una coperta troppo corta che non nasconde nulla. Vendola continua a sperare in una conversione di Grillo, per fare un governo con lui.
Il Pdl, sotto un certo punto di vista, sta messo meglio. Non ha il pallino in mano. È pronto a dare il suo sostegno per salvare il salvabile e può giocarsi la carta delle grandi riforme. Il costo è che Napolitano potrebbe chiedere a Berlusconi, come una sorta di par condicio con il siluramento di Bersani, di fare due passi indietro. Ma da che? Non ha cariche di partito, il segretario è Alfano e convincerlo all'obbligo del silenzio sembra un po' difficile, soprattutto quando si sente sotto l'attacco concentrico delle procure.
Napolitano spera di salvarsi da questo scenario scegliendo il pedone giusto da portare a Palazzo Chigi. Pensava a un uomo di Bankitalia, ma Visco ha fatto sapere che non si muove per un governo ballerino. A destra hanno interpellato Amato e lo sciagurato rispose: preferirei il Colle. Qualcuno ha fatto il nome di Passera. Il Pdl è poco convinto e poi sembra l'assist giusto per far gridare tutti: ecco il nuovo governo delle banche. Quindi? Ancora gli scacchi.
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