Boldrini più in tv che in Aula: al lavoro mezz'ora al giorno

Boldrini più in tv che in Aula: al lavoro mezz'ora al giorno

La sua elezione a presidente della Camera, lo scorso 16 marzo, fu salutata soprattutto a sinistra come un elemento di rottura nei confronti della vecchia politica. E come un primo passo del Pd sulla strada del dialogo con il MoVimento 5 Stelle travolto dall'insolito destino di vincitore morale delle elezioni appena svolte. A distanza di tre mesi e mezzo da quel giorno il possibile governo democratici-grillini è ricordato quasi come una barzelletta («ti ricordi quando Bersani incontrò Crimi e Lombardi?») e anche Boldrini è una rottamatrice rottamata. Come i suoi predecessori sullo scranno più alto di Montecitorio («la casa della buona politica», come lei stessa disse nel commosso discorso di insediamento), anche l'ex portavoce dell'agenzia Onu per i rifugiati politici ha il vizietto dell'assenteismo. Lavora in pratica una mezz'ora al giorno. Forse qualcuno dovrebbe ricordare all'elegante signora che questa casa (della buona politica) non è un albergo.
La vicenda l'ha tirata fuori Maria Teresa Meli, giornalista del Corriere della Sera, che in uno degli ultimi numeri di Io Donna ha fatto notare le contraddizioni della «madonnina della sinistra», così brava a farsi «vedere, con un sorriso e una dichiarazione a favore di telecamere e microfoni» in ogni luogo, riempiendosi la bocca di «affermazioni politicamente corrette»; e così assente nell'aula di cui è numero uno, al punto da suscitare «la curiosità, l'ilarità e, in alcuni casi, l'irritazione, di quei deputati che dovrebbe presiedere». Insomma, tanta tv, tanto presenzialismo e poca Camera.
Fin qui la stoccatina, la critica ironica in punta di penna. Ma a fare precipitare le cose c'è la lettera inviata dal portavoce personale della presidente della Camera, Roberto Natale, a via Solferino. Un tentativo di smentita rivelatosi il più classico degli autogol, come scandirebbe un telecronista d'antan. Nella missiva il volenteroso Natale rifiuta l'etichetta di «primula rossa» per la sua capa («No, assenteista non lo ammetto») e meticoloso snocciola i dati: «Dall'inizio della legislatura al 30 giugno ci sono state (senza contare le riunioni del Parlamento in seduta comune) 42 sedute della Camera, per un totale di poco più di 190 ore, e Boldrini ha presieduto per circa 54 ore (più del 28 per cento: dato equivalente a quello dei suoi predecessori nei corrispondenti periodi delle due legislature precedenti)».
Una zappa sui piedi. Intanto perché a fare due conti si scopre che, avendo presieduto la Camera per 54 ore in 107 giorni, «miss Montecitorio» è stata seduta su quello scranno appena mezz'ora al giorno, naturalmente tenendo conto anche dei giorni senza seduta. E i due predecessori, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, oltre a essere il più stantio esempio di vecchia politica (vantano una sessantina di anni di aule parlamentari in due), e quindi proprio ciò a cui programmaticamente Boldrini non dovrebbe richiamarsi, da presidenti di Montecitorio davano sempre l'impressione di avere di meglio da fare che stare lì dove erano pagati per stare. In particolare qualcuno calcolò, mentre infuriavano le polemiche sulla casa di Montecarlo, che il cognato di Giancarlo Tulliani nei primi sette mesi del 2010 aveva presieduto solo 45 ore su 527 totali di sedute. Certo, molto meno della media di Boldrini. Ma va detto che quest'ultima «gonfia» la sua media con l'inevitabile assiduità delle prime settimane da presidente. A marzo, piena di entusiasmo, non mancò un colpo: 5 sedute su 5. Ad aprile 4 su 6, a maggio 8 su 15 e già a scendere, fino alle 2 su 6 dell'appena iniziato luglio. Quindi la sua percentuale è fatalmente destinata a diminuire.

Va anche detto che attualmente Boldrini dispone di tre soli vice (Roberto Giachetti e Marina Sereni del Pd e il grillino Luigi Di Maio) essendo vacante la poltrona lasciata libera da Maurizio Lupi del Pdl, entrato nel governo. Quando la pattuglia dei sostituti sarà al completo sarà ancora più facile per lei marcare visita.

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