Botta e risposta Bersani aggiunga nei suoi otto punti l'abolizione dei contributi ai partiti

Roma «Il nostro problema non è conquistare appoggi all'interno del Pd per rafforzare Matteo: se mai è cercare di tenere a bada tutti quei quadri e dirigenti, locali e nazionali, che ora bussano alle nostre porte per essere arruolati», confida un parlamentare Pd molto vicino a Matteo Renzi. Ed è un flash che la dice lunga su cosa si stia muovendo - ancora confusamente - dentro il corpaccione del partito. E come il sindaco di Firenze sia deciso a difendersi da quel meccanismo di «cooptazione» che si sta mettendo in moto attorno a lui (vedi anche l'invito a pranzo di Ezio Mauro) e che rischia di offuscare quell'immagine di estraneità al vecchio apparato che costituisce l'asso nella manica della sua campagna. Perché già di campagna elettorale si tratta.
Pier Luigi Bersani si ritrova a parare colpi su due fronti: quello di Beppe Grillo e quello renziano, che guarda ormai alle prossime elezioni anticipate. A sostegno del tentativo di formare un governo col segretario Pd a Palazzo Chigi e le truppe del comico genovese a far da complemento si sta muovendo massicciamente tutto il consueto apparato propagandistico della sinistra, con il gruppo Repubblica a dirigere l'orchestra e a guidare l'uso sapiente del bastone e della carota: da una parte si picchia in testa a Grillo con le inchieste in Costarica (e i conseguenti ultimatum Pd a «fare subito chiarezza»), dall'altra si sfornano sempre più incalzanti appelli quotidiani corredati da firme pesanti. Il primo appello, sabato, è stato mal calcolato: difficile che i neoparlamentari (e ancor meno gli elettori) grillini si facciano turbare dagli auspici di Remo Bodei o Roberta Di Monticelli, di cui probabilmente ignorano anche l'esistenza. A Repubblica (o al Pd) devono averlo realizzato, e ieri hanno fatto partire la seconda raffica di firme più commestibili per il volgo grillesco: Benigni, Jovanotti, Saviano, Serra. E oggi toccherà allo stesso Bersani rivolgersi, dall'assemblea dei parlamentari Pd, agli interlocutori di M5S. Per ora, gli appelli continuano ad essere cortesemente respinti: «Non faremo la stampella al Pd». Mentre il capogruppo M5S Crimi avverte che tutte le avance del Pd, che ha già iniziato il corteggiamento, verranno rese pubbliche online grazie ad una «operazione trasparenza».
Sul fronte interno, intanto, si accendono i toni contro i renziani. Rei di aver fragorosamente riaperto la questione del finanziamento pubblico, tema estremamente sensibile per il Pd e su cui Bersani non può permettersi alcuno strappo.
Renzi è tornato a chiederne l'azzeramento, sfidando il segretario a farne un cavallo di battaglia per «mettersi in sintonia con il paese» e sfidare Grillo sul suo terreno. E l'irritazione con cui la segreteria del Pd ieri ha replicato («Chi ha seguito la direzione del Pd sa che il tema è compreso negli 8 punti») , o i toni aggressivi usati da Stefano Fassina contro il sindaco di Firenze (ma anche l'esplicito tifo di Susanna Camusso per un governo Bersani-Grillo), testimoniano di una tensione forte tra le due anime democrat. «Renzi cavalca spregiudicatamente l'antipolitica e mostra scarso rispetto per la comunità di cui fa parte, non è un atteggiamento da grande leader», attacca il «giovane turco». Ma ora anche i non renziani della prima ora si schierano con il sindaco: «Dare addosso a Renzi mi pare oggi l'ultima cosa da fare per la segreteria del Pd e lo dico da partecipante al rito collettivo Direzione», dice ad esempio Roberta Pinotti.


Lo scontro sull'abolizione del finanziamento pubblico non si fermerà, anche perché i neo-eletti renziani la stanno mettendo nero su bianco e ne faranno una delle prime proposte di riforma della legislatura, mettendo in seria difficoltà il resto del gruppo parlamentare. Bersani e il gruppo dirigente infatti parlano di «revisione», ma sanno bene che il loro modello di «partito pesante» può reggere solo grazie ai fondi pubblici.

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