Liberi da Monti

Si chiudono finalmente 401 giorni all'insegna di lacrime e gaffe

Liberi da Monti

Le liete notizie, quanto le cattive, non vengono mai sole. La prima è che Alessandro Sallusti ha ottenuto la grazia dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, quindi riconquista subito la libertà che una sentenza stravagante gli aveva ingiustamente tolto; la seconda è che Mario Monti ha annunciato formalmente le dimissioni e, mentre scriviamo, si accinge a salire al Colle per rassegnarle nelle mani del presidente della Repubblica. Si chiude così una brutta esperienza tecnica durata oltre un anno e se ne apre una probabilmente peggiore. Il Professore ha strappato un egregio risultato, bisogna riconoscerlo: è diventato simpatico ad Angela Merkel e ai grigi personaggi della Ue, avendo ubbidito loro in tutto e per tutto. Per il resto, gli indicatori economici dimostrano che la sua gestione è stata fallimentare: il Pil è diminuito, i consumi pure, la produzione idem; in compenso, sono aumentate le tasse e - miracolo - il gettito complessivo è calato. L'unica eccellente riforma del governo è stata quella delle pensioni (con vent'anni di ritardo), firmata dal ministro Elsa Fornero che, non a caso, viene attaccata o schernita ogni giorno. Roba da matti: le persone serie fanno ridere gli sciocchi.

Quando nelle pubbliche discussioni (televisive, specialmente) si fa notare che i numeri sono impietosi col bocconiano e documentano il suo disastro, c'è sempre qualcuno pronto a contestare: afferma che senza Monti le cose sarebbero precipitate. Peccato che non esista controprova. Al premier va concessa un'attenuante generica: gli è toccato lavorare con una maggioranza pasticciata e pasticciona, e con partiti capaci di tutto e buoni a nulla: non sono nemmeno riusciti in 13 mesi a cambiare la legge elettorale, il famigerato Porcellum che, dunque, è in vigore e provocherà altre porcate, a cominciare dalle prossime elezioni politiche.

Il rilancio dell'economia, sul quale si puntava per raddrizzare le gambe storte di tante aziende martoriate dalle imposte e da una burocrazia cieca e bieca, è rimasta lettera morta. La spesa pubblica eccessiva (gonfiata da mille sprechi) non è stata sfiorata perché i partiti, ogni volta che comparivano le forbici, facevano scattare veti incrociati, e l'esecutivo era costretto a riporre le cesoie nel cassetto. Insomma, se Monti non è stato in grado di compiere il prodigio di sistemare i conti, non è (soltanto) colpa sua, ma di un sistema unanimemente considerato marcio eppure immodificabile, causa cattiva volontà e ottusità di senatori e deputati.

Dopo le elezioni, fissate a febbraio, assisteremo pertanto al solito teatrino: confusione in Parlamento, una maggioranza inconsistente, un governo instabile e impossibilitato a realizzare un qualsivoglia programma decente. Nonostante ciò, Monti non resiste alla tentazione di mettere i piedi nel piatto della politica, e lo fa nel modo più sbagliato, capeggiando una lista eterogenea di pseudocentristi, vecchi arnesi vissuti trent'anni nel Palazzo e terrorizzati all'idea di dover sloggiare. Una lista che non vincerà mai e che si limiterà a sottrarre voti a forze più attrezzate per guidare il Paese.

La decisione (se non muterà) del premier uscente è

tecnicamente incomprensibile: egli si butta nella mischia declassandosi da uomo sopra le parti a uomo di parte. La parte meno affidabile. Un senatore a vita, capo dello Stato in pectore, forse meritava un destino diverso.

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