Il caso Il dramma di Salvo Ferlito

Dieci giorni fa, all'assemblea straordinaria dei costruttori edili siciliani, prende la parola un piccolo imprenditore. «Prima non dormivo per i mafiosi che pretendevano il pizzo. Li abbiamo denunciati e fatti arrestare. Ora non dormo perché lo Stato non mi paga». Alternativa tremenda per la miriade di grandi e piccole aziende dell'isola in credito con le amministrazioni pubbliche. Dalla fine del 2009 a metà del 2012 sono fallite 475 imprese siciliane, la gran parte per colpa degli enti pubblici che non pagano. In quattro anni 46.300 disoccupati diretti più altri 30mila nell'indotto: fanno quattro Ilva e circa 400 Alcoa. Ma questi drammi sociali non sfondano sulle tv.
Salvo Ferlito, catanese, è presidente del Collegio regionale siciliano dei costruttori edili. La sua impresa, il Consorzio Cfc, ha 300 dipendenti. Da tre generazioni lavora nel settore dei lavori stradali e autostradali. Ci sarebbe tantissimo lavoro nell'isola, le infrastrutture sono tutte da costruire o da ammodernare. Ci sarebbero anche i soldi. Quello che manca è la possibilità di distribuirli. «Ho dovuto fermare quasi tutti i cantieri: la legge lo consente quando il credito arretrato supera un quarto del valore contrattuale - si rammarica - ho 250 dipendenti fermi a casa e se non vengo pagato in fretta scatteranno i licenziamenti. Ho un'esposizione enorme con gli enti pubblici e non potrò reggere a lungo. Mi viene da piangere perché per noi il valore maggiore è il capitale umano, il know how del nostro personale».
Due esempi. Il Consorzio Cfc partecipa con altri costruttori ai lavori di adeguamento della statale 640 tra Caltanissetta e Agrigento. Un appalto complessivo da 100 milioni di euro. Ferlito ha sistemato una tratta di una quindicina di chilometri: valore 20 milioni di euro. Ma l'Anas non paga il contraente generale, il quale a sua volta non liquida le ditte associate. Lavori finiti da tempo, con le fatture scadute tra dicembre e gennaio scorso: quasi un anno fa. Altro caso. Il Cfc deve realizzare uno svincolo autostradale presso Noto, nel Siracusano: una zona bellissima, polo di attrazione turistica. Un'infrastruttura necessaria. Il ministero ha già liquidato la provincia di Siracusa ma siccome l'ente deve rispettare il patto di stabilità non può togliere i soldi dalla cassaforte.
L'interrogativo è ormai usurato: patto di stabilità o patto di stupidità? «Ho un'azienda grande e avrei una miriade di casi - racconta Ferlito, esasperato - un piccolo comune del Catanese doveva eseguire un lavoretto stradale. Ha fatto un mutuo da 100mila euro con la Cassa depositi e prestiti. Il denaro c'è ma il solito patto impedisce di liquidarli. Il comune paga il mutuo, i cittadini pagano gli interessi, l'impresa costruttrice realizza l'opera eppure i soldi non girano. Il governo deve decidersi a sottrarre dal patto le spese per gli investimenti. Perché ci rimettiamo tutti: io imprenditore che non vengo pagato non posso versare i contributi, lo stato non incassa, i lavoratori non vanno a fare la spesa e la Sicilia resta nella sua arretratezza nonostante la generosità dei fondi europei. È una situazione che grida vendetta».
Il rovescio della medaglia è altrettanto drammatico. Le banche. Spiega Ferlito: «È inevitabile che molte fatture mi vengano anticipate dalle banche. Ma se dovessero improvvisamente chiedermi di rientrare, succede che tecnicamente potrebbero farmi fallire in 24 ore. Sono convinto che gli istituti di credito capiscono la situazione. Ci troviamo in condizioni drammatiche che si possono sostenere per qualche settimana, al massimo pochi mesi, non un anno. A settembre Anas ha detto che avrebbe pagato a fine mese ma non abbiamo visto un euro. Il nostro presidente Paolo Buzzetti, presente all'assemblea straordinaria, ha avuto garanzie dal presidente Ciucci che i fondi saranno sbloccati a fine ottobre. Me lo auguro. Viviamo così, di speranze che si protraggono di mese in mese».
È una catena interminabile. Perché da un'azienda grossa come il Consorzio Cfc dipendono altre piccole imprese che forniscono le materie prime o eseguono opere minori in subappalto. Tutto fermo. E le ditte più piccole hanno maggiori difficoltà a fronteggiare le eventuali pretese delle banche. «Soffro quando non riesco a onorare i miei impegni - ammette Ferlito - soprattutto verso aziende che lavorano con noi da tanti anni. Non è giusto che facciano una brutta fine per colpa di un'amministrazione pubblica insolvente». I costruttori edili siciliani preparano azioni di protesta clamorosa. Appelli a governo e Parlamento, pagine di pubblicità sui giornali e la possibilità di una «class action», cioè un'azione legale collettiva, per chiedere i danni allo stato. «Non abbiamo speranze se lo stato non mette mano al portafoglio e non elimina la burocrazia inutile. La concorrenza internazionale incombe.

Poche settimane fa ero in Centrafrica per un grosso appalto che è stato aggiudicato ai cinesi. La Cina vince dappertutto: manodopera a basso prezzo e nessuna burocrazia. Noi italiani avevamo un'industria delle costruzioni all'avanguardia in tutto il mondo che invece sta collassando».

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