Roma - Una colazione andata decisamente di traverso. Monti e Berlusconi, attovagliati alla vigilia dell’eurosummit di domani, convergono su una cosa: la situazione è drammatica. Ma le loro visioni sulla strategia da seguire divergono non poco.
Il termometro dell’esito del pranzo di due ore a palazzo Chigi tra il premier in carica e il suo predecessore è il viso terreo, cupo, quasi affranto del Cavaliere. Il quale, alle 10 e mezza del mattino, si era presentato a Montecitorio per la direzione nazionale del Pdl con tutt’altro umore: scuro in volto ma volitivo e determinato. «Quando è così serra sempre la mascella. Buon segno, vuol dire che ha le idee chiare». In mattinata parlano nell’ordine: il segretario Alfano, i capigruppo Gasparri e Cicchitto e l’europarlamentare Mario Mauro. Poi la riunione s’interrompe e inizia la colazione a palazzo Chigi. Berlusconi è accompagnato da Alfano e dal suo ex sottosegretario Gianni Letta. In sostanza i vertici del Pdl mandano un messaggio chiaro a Monti: ti appoggiamo ma adesso «devi sbattere i pugni sul tavolo». Sebbene non sia questo il termine utilizzato, che peraltro non piace affatto al Professore, è il senso del pensiero berlusconiano.
L’interlocutore annuisce, ringrazia dei «preziosi consigli» ma poi sciorina una delle nostre proposte per uscire dalla crisi. In pratica si cercherebbe di far passare una misura secondo cui la Bce e il Fondo salva Stati potrebbero legittimamente acquistare i titoli pubblici dei Paesi con uno spread troppo alto, ma solo per gli Stati virtuosi. Cioè l’Italia ma non la Spagna né il Portogallo né, tantomeno, la Grecia. Ed ecco che l’umore del Cavaliere cambia radicalmente. L’ipotesi la considera un pannicello caldo, poco più che «un’aspirina» per combattere il tumore dello spread. Male, troppo poco. Monti ammette che la trattativa sarà «difficilissima» ma sostiene anche che «i valori degli spread sono ingiustificati» e che quindi la misura - peraltro lungi dall’essere accettata - sarebbe già un buon risultato. Berlusconi non la pensa così: vorrebbe il famoso bazooka e non la fionda; vorrebbe la Bce prestatore di ultima istanza, vorrebbe vedere più nerbo nella trattativa. Monti, dal canto suo, vorrebbe un appoggio più convinto al suo governo ma soprattutto anestetizzare le critiche che alimentano posizioni antieuropeistiche. A questo proposito il premier non si esime dal lamentarsi con il predecessore della linea editoriale del Giornale. Berlusconi abbozza.
La colazione scivola via così e Berlusconi si alza da tavola con un macigno sulle spalle: è il fardello del pessimismo che non riesce a nascondere quando si ripresenta ai suoi deputati. «Aveva le pive nel sacco», ammette un onorevole. «Monti si è detto disponibile a continuare a oltranza l’incontro con i capi di Stato e di governo per identificare altre misure, rispetto a quella dell’intervento del fondo salva Stati, ma al momento non ne sono state individuate altre - dice sconsolato l’ex premier - Troppo poco e troppo fumoso».
Quindi che fare? Pare esclusa la possibilità di staccare la spina al governo. A un deputato rivela allargando le braccia: «Ho parlato con dei banchieri miei amici e con esponenti delle istituzioni europee. E tutti mi hanno detto che l’ipotesi di far cadere il governo avrebbe effetti catastrofici». Quindi Monti resta in sella seppur «ben il 78% dei nostri elettori non approva il sostegno ai tecnici».
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