«Non sono ostile a chiudere». Berlusconi lo ripete a più di un interlocutore durante una giornata caratterizzata da un certo via vai a Palazzo Grazioli, con al centro di tutti gli incontri la trattativa sulla legge elettorale. Che avrà sì subito una frenata nelle ultime ore ma che resta ancora viva, con il Quirinale che continua nel suo pressing affinché si metta una pietra sopra al Porcellum. Così, è di sistemi di voto, premi di maggioranza, sbarramenti, preferenze e collegi che il Cavaliere parla nei suoi faccia a faccia con Verdini prima, Gasparri e Quagliariello poi, e infine Storace. Confermando a tutti - mercoledì aveva visto Maroni e Calderoli - l'intenzione di voler arrivare ad un punto d'incontro, anche perché - le proiezioni fatte in questi giorni in base ai sondaggi - non promettono nulla di buono se si andasse a votare con il Porcellum. Che poi è il motivo - ovviamente speculare - per cui una parte consistente del Pd spera che la trattativa salti in modo da votare con la legge attuale (non solo Bersani, che punta su Palazzo Chigi, ma pure tanti peones che fanno i conti di quanti saranno i seggi «disponibili»). Ed è questa, nella sostanza, la ragione del gioco del cerino degli ultimi giorni, con il Pd a rinfacciare al Cavaliere di non voler trovare l'accordo («Riforme, boicottaggio Pdl», era il titolo di prima pagina de l'Unità di ieri).
È l'esatto contrario. Anche se Berlusconi, pur essendo «non ostile a chiudere» non è disponibile a dare il via libera a una legge elettorale che «favorisca l'asse tra Bersani e Casini». Ed è questo che ripete ai suoi interlocutori durante tutti gli incontri della giornata. Ecco perché uno dei punti della contesa è se nel sistema proporzionale di cui si sta discutendo il premio di maggioranza debba andare alla coalizione (come vorrebbero Pd e Udc) o al partito (come vorrebbe il Pdl). Nel primo caso, infatti, l'asse Bersani-Casini sarebbe quasi scontato, nel secondo no. Senza considerare che il premio al partito da decisamente più chances al Cavaliere di giocare un ruolo chiave nella fase post voto. Mentre per quanto riguarda le preferenze (che sulla carta il Pdl vuole con forza e il Pd invece no) Berlusconi sarebbe piuttosto morbido e pronto a cedere terreno, con buona pace degli ex An che le considerano invece imprescindibili («mi auguro su torni alle preferenze», ribadiva ieri La Russa). Ma la partita è complessa anche perché a via dell'Umiltà si inizia a frenare sull'ipotesi Provincellum che, spiega Cicchitto, «crea un meccanismo infernale» e che, secondo le proiezioni penalizzerebbe il Pdl.
Ed è anche per questo che il Cavaliere prende tempo. Con Verdini che ieri ha presentato a Migliavacca - il braccio destro di Bersani con cui sta portando avanti la trattativa - un'altra proposta: inseriamo un premio di maggioranza del 15% indipendentemente dalla scelta di affidarlo al partito o alla coalizione. Un rilancio che difficilmente il Pd (e neanche Casini) accetterà e che probabilmente rientra nei tatticismi di una trattativa dove tutti, se vogliono trovare l'accordo che il Colle chiede con forza, dovranno cedere su qualcosa.
Un confronto complicato, insomma. Anche da un non indifferente problema di tempi. Approvare una nuova legge elettorale, infatti, equivale ad aprire la strada alle elezioni anticipate. E Berlusconi ha il dubbio che i tempi possano essere troppo stretti per rimettere mano al partito come ha intenzione di fare. Un voto nella primavera del 2013, invece, gli potrebbe permettere di dare il via al restyling del Pdl («è possibile che il simbolo venga cambiato in autunno», spiega Alfano) e approfondire anche il progetto di avere in ogni regione un referente tra i giovani imprenditori così da rinsaldare il rapporto con le categorie produttive.
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