Col nuovo «metodo» del governo discussioni infinite e niente opere

Col nuovo «metodo» del governo discussioni infinite e niente opere

RomaMai più come la Tav. Il governo, per stemperare le accuse di troppo decisionismo, pensa di cambiare le regole per le grandi opere. L’idea: apparecchiare tavoli tecnici e consultivi prima di dare il via libera a un qualsivoglia progetto. Poi, ottenuto l’ok, l’opera non dovrebbe più avere intoppi.
Il modello di riferimento è quello francese del «debat public»: consiste nel coinvolgere istituzioni pubbliche, private, associazioni ambientaliste e comitati di cittadini per informare, raccogliere suggerimenti, e poi decidere. La procedura risponde alla cosiddetta «democrazia partecipativa»: chi propone un’opera deve cioè tener presente tutti i fattori che riguardano la realizzazione del progetto, indicando tempi, costi e impatto sul territorio. Un’apposita autorità deve guidare i colloqui per poi fare una sintesi e trovare la soluzione migliore. Attenzione, però: i pareri del «tavolone» consultivo non sono vincolanti e nulla osta a che il progetto vada avanti ugualmente, a prescindere dalle conclusioni emerse dal «dibattito pubblico». Nel governo, tuttavia, si ritiene che l’esperienza francese dimostri che il grado di conflittualità sia decisamente basso. A confermalo è il commissario straordinario per la Tav, Mario Virano. Il quale, durante la trasmissione In 1/2 ora di Lucia Annunziata ha spiegato: «Quando sul progetto che è costato anni di lavoro si dice “discutiamo”, al di là dell’apertura mentale e della disponibilità democratica degli interlocutori, c’è una rigidità oggettiva. Da questo punto di vista ci sono tre modelli di riferimento: quello anglosassone, soprattutto americano, che di volta in volta inventa la strumentazione più idonea; quello francese del “debat public”, e quello svizzero, imperniato sui referendum». Ed ecco la carta scelta da Monti: «Un’evoluzione del modello italiano può esser più affine per sensibilità, cultura e modello istituzionale al modello francese». E ancora: «Bisogna elaborare delle misure che consentano di anticipare il dialogo fra le ragioni del generale e quelle del locale». In ogni caso sulla Tav il sottosegretario Antonio Catricalà conferma: «Abbiamo il dovere morale di andare avanti e non ci sarà alcun referendum come continuano a chiedere i No Tav».
Insomma, modello «debat public» per evitare le proteste in stile val di Susa? A dir la verità il sistema funziona solo in parte. Analoga strategia, infatti, è stata fortemente voluta dal sindaco di Genova Marta Vincenzi che, nel 2008, ha istituito una commissione per gestire il dibattito attorno alla gronda. La gronda è una bretella autostradale riservata al traffico pesante che dovrebbe collegare meglio il porto di Voltri al resto della rete autostradale. Anche in quel caso furono proteste su proteste, ricorsi al Tar, sentenze, ribaltamenti di decisioni, presentazione di controprogetti e discussioni a non finire. Si discusse fino alla nausea e molti comitati, presenti al tavolo, si misero subito di traverso persino denunciando che non era prevista l’«opzione zero», ossia la possibilità di bocciare in toto il progetto.
Insomma, massima capillarità e massima democrazia che però non hanno aiutato a mettere il turbo all’opera stessa che, pensata nel 1984, non ha ancora visto la luce. L’onorevole ligure e leghista Giacomo Chiappori infatti dice al Giornale: «L’idea può anche esser buona ma il caso Genova dimostra che se si apre un tavolo di discussione tra dieci persone, come al solito, emergono almeno dodici opinioni differenti. È il nostro male atavico che non si supera certo con il debat public». E infatti in Liguria sono 25 anni che si parla di bretelle autostradali ma di cantieri non se ne vede nemmeno l’ombra.

E forse non si vedranno mai visto che il candidato sindaco di centrosinistra, Marco Doria, inizialmente s’era detto contrarissimo all’opera. Poi, a dire il vero, ha fatto dietrofront dichiarando: «Ne discuteremo». Ancora.

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