Roma - No, nessun patto perché, come spiegano dal Colle «tra il presidente e il segretario del Pd non ci sono accordi segreti da stringere o intese da firmare». E nemmeno si può parlare di un asse tra Matteo Renzi e il Quirinale. A Giorgio Napolitano certi eccessi linguistici del sindaco, alcuni suoi «toni bruschi», risultano un po' indigesti, come pure non gradisce gli strattoni a Letta: il capo dello Stato non ha ancora cambiato cavallo. Però, nel giro di pochi giorni, i rapporti tra i due sono talmente migliorati che mercoledì scorso, quando si sono visti, hanno potuto individuare, sia pure tra mille diffidenze, un obbiettivo comune: le riforme.
Sulla base di indiscrezioni parlamentari, del «pissi-pissi» raccolto sui divani di Montecitorio, è stato Dagospia a ipotizzare l'esistenza di un «patto» tra il giovane segretario e il vecchio presidente. Napolitano avrebbe addirittura convinto Renzi ad appoggiare il da lui rottamato Massimo D'Alema nella corsa per la vicepresidente della Commissione europea. Per ottenere il posto attualmente occupato da Antonio Tajani, l'ex premier, ricevuto al Quirinale il 9 gennaio, quattro giorni prima del sindaco di Firenze, avrebbe promesso la fine delle ostilità da parte del gruppo di Cuperlo. Circostanza che, a giudicare dalla rovente direzione del Pd, non si è ancora verificata.
Ma al di là delle voci e degli scenari, resta il diverso clima che si è instaurato tra Napolitano e Renzi. Prima dell'incontro il sindaco ha sparso parecchio miele: «Ho un grande rispetto umano, personale, politico e istituzionale per il presidente. In questi anni, nel rispetto delle sue prerogative, ha supplito alle mancanze della politica. Credo che il suo obbiettivo sia lasciare il Quirinale una volta approvare le riforme e il miglior modo per rispettarlo è fare quello che ci chiede, a cominciare dalla legge elettorale». Parole che sono piaciute al Quirinale, come quelle, tutte però da verificare, sulla lealtà a Letta. «È il nostro governo. Se lo critichiamo e per migliorare le cose, non certo per fare le scarpe a Enrico».
Prima di riceverlo, il capo dello Stato ha commissionato una piccola ricerca. Ha chiesto di avere i «numeri» veri di Matteo, ha voluto esaminare i risultati delle primarie provincia per provincia per capire la forza reale del nuovo segretario. Una volta letti, si è convinto definitivamente della sua forza. Dunque Renzi, anche per il Colle, da novità si è trasformato in una realtà consolidata della sinistra italiana e di tutto il Paese.
Non solo un interlocutore istituzionale, in quanto segretario del principale partito, ma un personaggio da ascoltare con attenzione, soprattutto se sale in udienza in un atteggiamento «ragionevole» e se nei giorni successivi rinuncia a chiedere la testa di Fabrizio Saccomanni. Un giovane di talento al quale si può regalare pure un prezioso consiglio: attento a non strafare Matteo, un comportamento «sempre aggressivo, sempre all'attacco» alla lunga può logorarti.
Per il resto, il presidente ha constatato che c'è una buona base di partenza. Ad esempio, si è convinto che per Renzi la legge elettorale è un obbiettivo irrinunciabile, il primo nella lista, al quale dovranno seguire le altre riforme.
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