Roma - La morte di Simonetta Cesaroni resterà per sempre il «giallo di via Poma». La Cassazione conferma l'assoluzione dell'ex fidanzato della ragazza, Raniero Busco. A 23 anni e 209 giorni dal 7 agosto 1990, quando la ventenne romana fu uccisa con 29 coltellate nell'ufficio a Prati in cui lavorava, l'ultima sentenza chiude la storia giudiziaria sul caso. Per Busco, che ha aspettato il verdetto nella sua casa romana con la moglie e i figli, «è la fine di un incubo».
L'ultima parola è toccata alla Prima sezione penale della Cassazione, tirata in ballo dal ricorso della procura generale, che ieri alle 21 ha assolto definitivamente l'ex fidanzato di Simonetta. Busco, unico imputato per l'omicidio, fu coinvolto nelle indagini sulla morte dell'ex fidanzata solo nel 2007. Quando venne indagato perché gli uomini del Ris di Parma avevano trovato una corrispondenza tra il suo DNA e quello ritrovato sugli indumenti intimi della giovane vittima. Le indagini, in passato, s'erano concentrate a lungo e invano prima sul portiere dello stabile, Pietrino Vanacore (morto suicida nel 2010), poi sul nipote di un inquilino del palazzo, Federico Valle. Ma arrivarono a un processo solo nel 2010, con il rinvio a giudizio di Busco. Condannato nel 2011 a 24 anni di reclusione per l'omicidio di Simonetta.
Ma quel verdetto, che vent'anni dopo dava un nome all'assassino della Cesaroni, era stato ribaltato ad aprile 2012 dalla Corte d'assise e d'appello, che ha assolto l'ex fidanzato di Simonetta - nel frattempo sposato e con due figli - per non aver commesso il fatto. Nella motivazione i giudici della sentenza d'appello smontarono, in particolare, la perizia secondo la quale Busco sarebbe stato l'autore del presunto morso al seno della ragazza.
Proprio la demolizione delle perizie era uno dei punti contestati nel ricorso presentato dalla procura generale, sfociato nel terzo processo sul «giallo di via Poma», cominciato ieri pomeriggio al «Palazzaccio», sede della Cassazione. Il Pg, Francesco Salzano, aveva chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza d'assoluzione, perché il giudizio d'appello avrebbe «sottovalutato e parcellizzato gli indizi a carico dell'imputato», dal movente al «morso». Per il Pg, Busco andava rimandato a processo. Al contrario l'avvocato Franco Coppi - legale dell'uomo - ieri ha difeso a spada tratta quel verdetto d'assoluzione, definendolo «esemplare» soprattutto per aver escluso che il segno sul seno fosse un morso, tantomeno lasciato dai denti dell'ex fidanzato della vittima. Coppi ha anche ricordato come sia indimostrabile che l'impronta genetica di Busco sul reggiseno di Simonetta risalga al giorno dell'omicidio e non a un rapporto sessuale tra i due ragazzi del 4 agosto. E ha rimarcato, infine, il giallo mai risolto di quel delitto d'agosto: le tracce di sangue nell'appartamento riferibili «a una o a due persone diverse», mai identificate, «una delle quali s'è ferita durante l'aggressione».
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