Difficile tagliare: sinistra e sindacati già di traverso

Monti vuole seguire il metodo usato sulla riforma delle pensioni: dritto al punto. Ma Bersani mette le mani avanti: "No alla logica dell’emergenza, discutiamo"

Difficile tagliare: sinistra e sindacati già di traverso

Roma - Monti è a un bivio. Davanti a sé ha due strade, due sentieri pie­ni di pericoli. Adesso che si appre­st­a ad affrontare il tema della revi­sione della spesa, il premier può fare due cose: o agire come ha agi­to, appena nominato, con la rifor­ma delle pensioni; o scendere a patti con i sindacati e impantanar­si, come di fatto è accaduto, con la riforma del mercato del lavoro. Monti sa bene che è destinato a dare molto più fastidio, tra la sua «strana maggioranza», alla stam­pella piddina.

Sa che con i sindaca­ti si aprirà un estenuante braccio di ferro perché in vista ci sono tagli su tagli. Ma sa anche che, dimo­strandosi troppo timido sul fronte della riduzione strutturale del de­bito pubblico, rischia di bruciare la credibilità acquisita nelle dure trattative internazionali, in quel di Bruxelles. È accaduto così an­che in passato quando, sull’onda dell’emergenza, ha messo mano alle pensioni. S’è mosso come un caterpillar è sono arrivati gli osan­na interni e internazionali. Poi pe­rò ha affrontato il nodo del merca­to del lavoro ed è stato costretto a mediare e limare all’infinito il provvedimento sul lavoro per scongiurare i moti di piazza. In quell’occasione è apparso timoro­so, col freno a mano tirato,e s’è gio­cato una bella fetta di reputazione agli occhi degli osservatori inter­nazionali e della stampa estera. Ora potrebbe riscattarsi. Po­trebbe tornare a mostrare i musco­li e usare la scure anzinché il tron­chesino per tagliare spesa pubbli­ca e sprechi. Ma se è facile a dirsi, ben più difficile a farsi.

Primo per­ché le misure da prendere sono dolorose; secondo perché già si in­travvedono i maldipancia di ampi settori della sinistra politica e sin­dacale. Ampi settori perché i de­mocratici sono divisi. C’è l’anima moderata e riformista a cui piace il Monti-mani-di-forbice; ma an­che quella radicale e conservatri­ce, di cui parla anche D’Alema quando al Corriere della Sera am­mette che «Monti può mitigare le resistenze stataliste che ci sono an­cora tra i socialisti». Bersani in ogni caso ha già messo le mani avanti: «Sia chiaro che siamo asso­lutamente determinati a evitare quell’ulteriore aumento dell’Iva a cui ci hanno inchiodati Berlusco­ni e Tremonti- ha detto il capo del Pd- .Ma c’è modo e modo di arriva­re all’obiettivo e vogliamo poter­ne discutere ».

Il Pd come forza an­ti tagli? Bersani lo esclude ma met­te i puntini sulle «i»: «Siamo ugual­mente interessati a una spending review che incida strutturalmen­te sulla spesa pubblica. Ma se un intervento è strutturale, non può mai avere la sola logica dell’emer­genza ». Come a dire: scordati di poter fare come hai fatto con le pensioni. Ma attenzione: i «niet» ai tagli previsti dai ministri Giarda e dal superconsulente Bondi, non arri­veranno soltanto da sinistra e sin­dacati. Anche molti governatori di centrodestra potrebbero cerca­re la sponda dei sindacati perché si vedono toccati nel vivo, soprat­tutto sul fronte sanità.

Sono pron­ti a dar battaglia, soprattutto, i pre­sidenti delle Regioni Calabria, Campania, Molise, Abruzzo, La­zio e Sardegna. I quali si sono mes­si di traverso lamentando i tagli li­neari. Governatori che proprio og­gi saranno ricevuti dal premier. Tuttavia l’obiettivo dichiarato del governo è quello di evitare l’au­mento dell’Iva. Un punto di Iva, va­le circa 6/8 miliardi di euro. Due punti di Iva ne valgono dai 15 ai 20. (Difficile fare una stima precisa perché dipende dai consumi e in una fase recessiva come questa è meglio stare bassi). Ma è evidente che la bozza iniziale di spending review, in cui si parlava di tagli pa­ri a 4,2 miliardi di euro per que­st’anno, non sarebbe sufficiente. Ecco perché il piano di Monti, rive­duto e corretto parla di una forbi­ce che va dai 4,2 miliardi a 8. Quasi il doppio.

E i conti tornano visto che un punto di Iva vale appunto dai 6 agli 8 miliardi. Questa sera ci sarà un vertice tra i ministri per de­cidere sia l’entità della manovra sia il metodo: un pacchetto unico o più provvedimenti ad hoc? Il tutto si gioca, poi, sullo sfondo di una scommessa tutt’altro che vinta. Ossia il mostro spread.

Non è detto, infatti, che il via libera allo scudo antispread sia un segnale sufficiente per interrompere gli at­tacchi speculativi. Domani e le set­timane che seguiranno saranno determinanti per capire se quan­to strappato a Bruxelles sarà una tachipirina o soltanto un’aspiri­na.

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