di Il dibattito sulla destra (parlo volutamente di destra e non di centrodestra) si avvia veramente male se si inseguono gli interessanti commenti giornalistici volti a focalizzare la disfatta elettorale sull'assioma «il centrodestra riesce solo se c'è Berlusconi». Personalmente mi rifiuto di ragionare in termini così semplicistici e di farmi trascinare dalla logica (?) di un pensiero fuorviante. Mi spiego. La destra, quella vera, quella nata a seguito dell'eroico e faticoso percorso di molti anziani come me, quella destra che parte dal Msi e si scioglie nel Pdl, prima ancora che una destra di governo è stata una destra di pensiero, di confronto, ricca di passioni, emozioni, generosità, lealtà, rispetto dell'ordine e delle gerarchie. Pregna di socialità.
Dove son finiti negli anni di governo del centrodestra quei valori della destra, quelle «colonne d'Ercole» invalicabili (come diceva Almirante) che avrebbero dovuto sconsigliare nel 2008 dall'accettare la «quota panda» del 30 per cento di An nelle liste? (badate bene: non dei possibili eletti!) Una mortificazione e uno schiaffo alla cultura del merito nella quale eravamo stati allevati! Uno schiaffo civilmente accettato e portato avanti fino alla più che prevedibile estinzione della «razza An» avvenuta attraverso le tornate elettorali succedutesi dal 2008 a oggi.
C'è da chiedersi innanzitutto, dove erano tutti coloro che vollero, anzi esaltarono, lo scioglimento di An come necessaria «evoluzione» nel partito unico del centrodestra.
Ho difficoltà a coniugare le lacrime sincere di alcuni di noi che si tennero anche fisicamente lontani dall'assemblea nazionale, cioè dal funerale di An, con l'entusiasmo di chi in quel passaggio definitivo individuava la vittoria del pensiero di destra! I fatti ci hanno amaramente detto di avere ragione.
Berlusconi ha fatto il suo percorso politico con chiarezza e determinazione, e col suo fermo credo in un liberismo che la destra non ha saputo permeare di socialità. Intellettualmente è stato più onesto e coerente lui di quanti hanno accettato di vedere sempre più ristretto il confine del proprio credo in nome di una presunta destra di governo! Presunta perché di fatto governava su indicazione del pensiero altrui. Un sacrificio troppo grande!
Nel pensare alla destra del domani non voglio minimamente disegnare una «cosa nera» ma un soggetto luminoso, ricco di pensiero, generoso, incubatore di proposte. È facile dirlo, dirà qualcuno, se si ha una certa età! Non so se sia facile. So che è doveroso per chi, come molti di noi, è stato allevato alla speranza, alla proposta, al mito, all'utopia dell'affermazione di un modello di società che non può essere, per uno di destra, quello dell'avallo dell'Italia parallela venuta fuori con sconcertante sincerità dai racconti di Bisignani.
Non abbiamo intenzione alcuna di costruire un soggetto che in parte consenta a qualcuno di noi di continuare a fare o riprendere una vita politica attiva.
Abbiamo il desiderio, oltre che l'impegno morale, di dare contenuti, obiettivi, speranze, a quell'area non di centrodestra, né di destra che con rabbia ha votato Grillo e con dignità, poi, è rimasta silenziosamente a casa! È un'area troppo vasta per essere trascurata, non ne abbiamo il diritto.
Soprattutto noi che dalla politica abbiamo avuto tanti dolori ma anche tante gioie e gratificazioni.
Ritroviamoci. Con umiltà. Senza protagonismi. Con volontà costruttiva. «Il domani appartiene a noi», cantavano i nostri giovani.
C'è qualcuno che vuole ancora crederci. Sinceramente.
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