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E Gotor suonò il campanello di Arcore

Il consigliere aveva imposto al segretario la linea anti Cav. Ma ha dovuto arrendersi

E Gotor suonò il campanello di Arcore

La rottamazione di una leadership, la rottamazione di un guru la rottamazione di una lobby: quella del no all'inciucio con il Caimano. Nella drammatica notte del teatro Capranica - che ha coinciso con la non proprio imprevedibile smacchiatura del dimissionario smacchiatore di giaguari del Pd - l'improvvisa evaporazione del gruppo dirigente del Partito democratico ha avuto l'effetto di illuminare in modo cristallino e senza possibilità di fraintendimenti il volto di quello che oggi viene considerato praticamente da tutto il centrosinistra (tranne forse Laura Puppato) come il principale artefice dell'incredibile patatrac ottenuto dall'ormai ex segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. Un volto che ha un nome e un cognome preciso e che ha avuto l'indiscusso merito - complimenti vivissimi - di convincere il famoso tortello magico del Pd (Vasco Errani, Maurizio Migliavacca, Miro Fiammenghi) a seguire la strepitosa linea politica che ha portato venerdì pomeriggio l'ex leader del centrosinistra a ritrovarsi impallinato dagli stessi franchi tiratori che mentre freddavano Romano Prodi stavano in realtà facendo fuori il segretario del Pd.

Il nome è sempre quello e forse lo avrete già intuito: è proprio lui, sì, il geniale Miguel Gotor. Il gran consigliere di Bersani. Il principe dei guru. Lo chef del bersanismo, che si è ritrovato cucinato a puntino insieme con tutto il rottamato tortellone magico. Gotor, già. Quello che diceva che il berlusconismo era finito. Quello che diceva che il paese si doveva cambiare con Grillo. Quello che teorizzava la fine del Pdl. Quello che non ha fiatato quando il suo amico Migliavacca non ha escluso la possibilità di mandare Berlusconi in galera. Quello che considerava Renzi un eretico per aver accusato Bersani di stare lì a perdere tempo. Quello che ogni giorno vedeva grandi spiragli nel movimento 5 stelle. Quello che immaginava di poter cambiare il paese mettendo insieme le metafore di Bersani e i vaffanculo di Beppe Grillo. Quello che escludeva al cento per cento che il Pd suonasse al campanello di Arcore. Quello che diceva mai mai mai con l'impresentabile Berlusconi e che alla fine ha dovuto arrendersi al fatto che - tu guarda - l'unico modo possibile per sbloccare il paese e far nascere un governo ed eleggere un presidente della repubblica era uno e solo uno ed era proprio quello: andare a braccetto con Berlusconi.

E così - di fronte al grande accordo della disperazione fatto dal Pd con Pdl, Lega e Monti per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, e altro che governo del cambiamento - si capisce come oggi il coltissimo e intelligentissimo suggeritore dello smacchiatore sia più o meno nelle stesse condizioni di tutti quegli imbronciati osservatori che negli ultimi giorni hanno sempre ricordato con eleganza che fosse preferibile cercare una larga intesa con gli stessi simpaticoni dei Cinque Stelle che ieri pomeriggio sono scesi in piazza a Montecitorio a urlare golpe golpe golpe alla fine dell'elezione di Napolitano piuttosto che cercarla con quei manigoldi e impresentabili del centrodestra (per dirla alla Lucia Annunziata, do you remember Alfano?). E immaginiamo dunque lo sgomento dei Gotor e delle Annunziata quando ieri si sono resi conto che forse i veri impresentabili rischiano di essere proprio quei politici, quei guru e quegli osservatori che fino a qualche giorno fa con eroica testardaggine provavano a sostenere che con Berlusconi neanche un the.

Din-don: accomodatevi, prego. Ecco, questi, di fronte a sé hanno un Pd che dopo aver rosolato il tortello magico di Migliavacca e compagnia si ritrova seduto a tavola con Berlusconi a condividere non un the ma il nuovo presidente della Repubblica.

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