E Piazza Affari diventa il mercato del lusso

L'esordio col botto di Moncler, dopo l'Ipo da record, conferma l'appetito crescente degli investitori nei confronti dei titoli del lusso. I fatturati non intaccati dalla recessione, la naturale vocazione all'export anche nelle aree dove si sono creati nouveaux riches (è di 18 miliardi il surplus garantito alla bilancia commerciale), un livello di indebitamento in genere sotto controllo e la sostanziale assenza di asset tossici hanno messo il settore al riparo dall'onda lunga della crisi.
Azioni-rifugio, insomma, nei cui confronti lo shopping è andato consolidandosi dopo lo scoppio del virus subprime. La capitalizzazione, attorno ai 20 miliardi del 2007, oggi è attorno ai 35 miliardi e potrebbe salire di almeno altri 12 in base alle stime dello Studio Pambianco, secondo cui sarebbero quotabili 65 aziende del lusso/casa-design. Non solo. Nel periodo, la luxury area ha aumentato il proprio peso specifico a Piazza Affari: il 2,4% di sette anni fa è diventato ora un 9,4%. E non solo grazie al fatto che negli ultimi anni è cresciuto il numero dei titoli quotati. Questi valori percentuali fotografano soprattutto il riposizionamento dei portafogli in seguito al ciclo recessivo.
I titoli finanziari sono quelli che ne hanno più pagato le conseguenze. Su tutti, i bancari. Non sorprende dunque che il gruppo guidato da Remo Ruffini capitalizzi oltre 3,7 miliardi, una cifra superiore a quella di banche come Banco Popolare (2,36 miliardi), Bpm (1,32 miliardi) e Carige (0,995 miliardi). Appena lambiti dal disastro dei mutui Usa cartolarizzati in virtù di una gestione considerata prudenziale, gli istituti italiani sono poi stati travolti dalla crisi del debito sovrano. Troppi i Btp in pancia (anche per effetto della moral suasion esercitata dalla Bce di Mario Draghi per ridurre la febbre da spread), un elemento di estrema vulnerabilità che si è innestato su margini di redditività via via sempre più risicati a causa dei bassi tassi d'interesse e di sofferenze a livello di guardia. Il risultato? Il comparto finanziario valeva quasi 500 miliardi nel 2007, mentre oggi supera a malapena i 100, pari al 29,5% della capitalizzazione complessiva contro il 58,8% di sette anni fa. E ciononostante un recupero in media delle quotazioni nell'ultimo biennio pari al 24%, avvenuto tuttavia tra picchiate e strappi al rialzo che hanno fatto le fortune dei corsari della speculazione.
La perdita di consistenza dei titoli finanziari è stata in ogni caso così robusta da determinare un rimescolamento complessivo dei pesi all'interno della Borsa italiana (vedi grafico). Anche di quei settori, come quello dei media, delle tlc e dell'industria in generale, certo non risparmiati dalla crisi. Così, al tirar delle somme, spicca la drammatica riduzione della capitalizzazione, crollata dal 2007 da 842 a 362 miliardi.
La strada verso il recupero, dunque, è ancora lunga e dovrà passare necessariamente attraverso la ripresa del Paese e da una stabilizzazione del quadro internazionale.
Difficile fare previsioni per il 2014, anno in cui la crescita italiana sarà - nelle migliore delle ipotesi - fiacca.

Meglio quindi concentrarsi su quanto accadrà domani, quando la Federal Reserve alzerà il velo sul tapering. Alla luce del miglioramento dell'economia Usa e dell'accordo sul budget federale, i mercati hanno già messo in conto un ritiro degli stimoli già in gennaio. Toccherà a Ben Bernanke darne la conferma.

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