Fini e Bertinotti lottano insieme ma solo per conservare gli uffici

Agli ex presidenti delle Camere erano riservate lussuose stanze. I grillini vorrebbero accelerare i tagli già decisi dal Pdl, ma Gianfranco e Fausto non vogliono mollare

Fini e Bertinotti lottano insieme ma solo per conservare gli uffici

«Resistere, resistere, resistere» è il motto di borrelliana memoria del compagno Fini. Resistenza che ha poco di politico e tanto di pratico: non vuole mollare l'ultimo scampolo di privilegio che gli resta. Spazzato via dagli italiani, rimane attaccato come una sanguisuga all'estremo cadreghino cui ha diritto. Ancora per poco. L'ex presidente della Camera, infatti, avrebbe detto di no alla richiesta di lasciare gli uffici della Camera. A fare particolari pressioni sul neo presidente Laura Boldrini è il pentastellato Luigi Di Maio, giovanissimo vicepresidente di Montecitorio. Il quale sta lavorando di buzzo buono a una particolare spending review, interna ed esterna. È noto che i grillini stanno cercando di capire come ridursi lo stipendio. Cosa più facile a dirsi che a farsi. Nell'ambito di questa operazione proprio Di Maio ha chiesto l'inventario di tutti i beni mobili e immobili in dotazione alla Camera per capire dove poter far scattare le forbici. E ovviamente s'è imbattuto nello spreco della fondazione della Camera dei deputati.
Costituita nel 2003 per volere dell'allora presidente Pier Ferdinando Casini per «realizzare una più ampia conoscenza e divulgazione dell'attività della Camera; promuoverne l'immagine; favorire e sviluppare il rapporto tra l'istituzione parlamentare ed i cittadini», il supremo ente inutile è stato una macchina mangiasoldi dei contribuenti. Due milioni di euro l'anno con tanto di funzionari (una mezza dozzina) e uffici tenuti a regola d'arte. A dire il vero il primo a scandalizzarsi dello spreco è stato l'ex deputato campano del Pdl, Amedeo Laboccetta che l'anno scorso ha detto: «Basta». Ed è riuscito a far approvare dall'ufficio di presidenza di Montecitorio, durante la discussione sul bilancio, un ordine del giorno nel quale si prevedeva la chiusura della fondazione. «Ho fatto risparmiare agli italiani ben 20 milioni di euro», gongola ancora Laboccetta.
Ma una cosa così non si chiude dall'oggi al domani. Così, nel prestigioso palazzo Theodoli, in piazza del Parlamento, continuano a essere a disposizione degli ex presidenti della Camera dei lussuosi uffici. Ne hanno diritto - ancora per poco grazie a Laboccetta - Violante, Casini, Bertinotti e Fini. Ma adesso s'è aggiunto il grillino a chiedere un colpo di spugna al vecchio privilegio. Quindi s'è rivolto agli ex presidenti sopracitati. Violante ha accettato; pure Casini, che in fondo una comoda poltrona al Senato ce l'ha ancora, ha acconsentito senza problemi. Bertinotti, invece, s'è trincerato dietro a un pilatesco «mi attengo alla legge»: troppo dolore a lasciare quelle sei stanze al terzo piano del palazzo in pieno centro. E pure Fini pare si sia messo in scia del rifondarolo negando la disponibilità a lasciare i «suoi» nobili uffici.
Attenzione, però.

Non c'è solo la morente fondazione. In ogni caso gli ex presidenti della Camera hanno diritto all'uso gratuito di uffici, personale e auto blu. Un tempo, vita natural durante. Adesso «soltanto» (sic!) per dieci anni dopo la fine della scorsa legislatura.

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