Mario Monti ci ha informati che sarà disponibile a rimanere a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni politiche del 2013, qualora dalle urne non uscisse un risultato chiaro e non fosse possibile costituire una maggioranza solida, in grado di sostenere un governo duraturo. La notizia non è stata entusiasticamente accolta dai partiti, specialmente quelli di sinistra; sono convinti di tornare in auge, ma non è così.
Esautorati da quasi un anno, essi avrebbero avuto tempo per rifondarsi, rifarsi una buona reputazione, riparare i guasti prodotti nel Paese, ma l’hanno sprecato: non hanno combinato nulla. Anzi. Hanno peggiorato la propria immagine continuando a coltivare vizi e difetti antichi, a incassare rimborsi elettorali stratosferici, a preoccuparsi di salvaguardare i privilegi di cui godono. Il che ha contribuito ad aumentare la sfiducia dei cittadini nel sistema e ad alimentare in loro il desiderio di abbandonarsi all’antipolitica, cioè a sposare i movimenti di protesta più capaci di interpretare il disgusto generale.
Nelle ultime settimane, poi, una sequela di scandali regionali, in aggiunta a quelli nazionali, hanno persuaso gli italiani: i politici sono tutti uguali, non se ne salva uno. D’accordo, è sbagliato pensare che la corruzione abbia contaminato chiunque frequenti il Palazzo, ma è altresì sbagliato pretendere che la gente faccia troppi distinguo. Se in una cassetta di mele, tre o quattro sono marce, la sensazione di chi la guarda è una sola: che quella cassetta sia da buttare. Il qualunquismo galoppa se il terreno glielo consente.
Nei sondaggi la sinistra è in vantaggio sulla destra perché nella legislatura in corso non ha governato e ha commesso pazzie per impedire agli avversari di farlo. Ma i dati dimostrano che Pier Luigi Bersani non ha comunque la vittoria in tasca. Le alleanze su cui contava esistono ancora, ma soltanto sulla carta: Nichi Vendola sconfessa la politica del rigore perseguita dai tecnici; Antonio Di Pietro pure, anche se per motivi diversi; Pier Ferdinando Casini è montiano e non sopporta il Sel. Non è finita. Il Pd stesso è sconvolto dall’irresistibile ascesa di Matteo Renzi, il quale minaccia la leadership del segretario. Insomma, i progressisti si presenteranno alle urne talmente divisi da mettere in fuga parecchi potenziali elettori.
È evidente. La situazione è brutta per entrambi gli schieramenti e non si scorgono segnali di miglioramento. Ecco perché la disponibilità del premier a restare dov’è ha un significato quasi divinatorio; Monti in pratica avverte i partiti: assodato che non vi organizzate, e non avrete voti a sufficienza per guidare il Paese, sappiate che sarete condannati a dare vita a una grande coalizione. Nell’eventualità, io sono pronto a sacrificarmi anche al prossimo giro.
Il Professore ha ragione da vendere. Ha più fiuto e sensibilità politica lui dei professionisti dello scranno che vorrebbero dargli il benservito. Monti non è miope e ha già messo a fuoco gli scenari lontani.
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