Milano - Altra condanna al carcere per il direttore di un giornale ritenuto colpevole di diffamazione. L'autunno scorso Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, era stato punito per un articolo pubblicato quando guidava il quotidiano Libero. Ora tocca a Giorgio Mulé, responsabile del settimanale Panorama, che raddoppia una sentenza analoga di maggio. Tre verdetti simili: le denunce sono venute da magistrati e le testate sono vicine al centrodestra.
In quest'ultimo caso si è sentito diffamato il pm romano Luca Tescaroli per un articolo dell'ottobre 2010. Il pubblico ministero Paola Barzaghi aveva chiesto per Mulè e l'autore del servizio, il vicedirettore Maurizio Tortorella, una multa di 2mila euro e la concessione delle attenuanti. Ma il giudice milanese di primo grado Maria Cristina Pagano è stata severissima. Ha colpito più duramente Mulè per l'omesso controllo che il giornalista per la diffamazione: il primo è stato condannato a otto mesi di reclusione senza sospensione della pena, il secondo a un'ammenda di 800 euro.
L'articolo descriveva la polemica scoppiata quando Tescaroli, coautore del libro Colletti sporchi (Rizzoli), era stato citato in giudizio in sede civile dalla Fininvest la quale riteneva che parti del volume danneggiassero l'immagine della società. Lo scorso maggio Mulè era stato condannato, sempre in primo grado, ad altri 8 mesi di reclusione (pena sospesa) assieme al giornalista Andrea Marcenaro (12 mesi senza sospensione) per un servizio di Panorama sul procuratore di Palermo Francesco Messineo.
Queste condanne al carcere seguono quella, clamorosa, di Sallusti che nel settembre 2012 fu messo agli arresti per scontare in via definitiva 14 mesi di reclusione. La vicenda riguardava un magistrato minorile di Torino al quale alludeva (senza citarlo) un articolo non scritto da Sallusti e firmato con uno pseudonimo. Il clamore sollevato anche in sede europea da quella condanna indusse il presidente Giorgio Napolitano a commutare la detenzione in una pena pecuniaria. Il Parlamento promise invano di modificare il codice penale in senso meno illiberale, e nemmeno le nuove Camere sono ancora intervenute.
In una nota Mulè definisce la condanna «un atto intimidatorio che colpisce e mortifica la libertà di critica giornalistica oltre che calpestare la dignità della professione. Ancora una volta vengo condannato per un articolo in cui un magistrato, giudicato da un collega magistrato, lamenta di essere stato diffamato. Gli articoli su Messineo e Tescaroli non contengono una sola frase offensiva o ingiuriosa nei loro confronti, né riportano la falsa attribuzione di un fatto. Alla Camera e al Senato, oltre che al Parlamento europeo, si sta discutendo la necessità di riformare la legge sulla diffamazione abolendo la pena del carcere. A questo punto la riforma è non solo urgente ma anche non rinviabile».
Ma è aperto un altro fronte giudiziario per Mulè, indagato (con il cronista Giacomo Amadori) non per diffamazione ma per corruzione a Napoli dai pm John Henry Woodcock, Vincenzo Piscicelli e Francesco Curcio. I due avrebbero pagato un cancelliere e un avvocato per ottenere un verbale su Lavitola e Tarantini. Mulè nega di conoscere i due, i pm non hanno le prove del compenso: fatto sta che esiste un fascicolo per quella che Mulè chiama «una strampalata, fantasiosa e assai offensiva ipotesi di corruzione: si vuol mettere a tacere, con il più umiliante strumento qual è la privazione della libertà, una voce non allineata».
«Ancora una volta si vogliono mettere le manette alla libertà di informazione - dichiara Marina Berlusconi, presidente Mondadori - ancora una volta, nel giro di poche settimane, una sentenza colpisce addirittura con il carcere per il suo direttore un giornale che come sempre ha fatto, e bene, solo il proprio dovere: raccontare i fatti, approfondire, criticare, che non significa né offendere né diffamare. E ancora una volta, è un magistrato che si vede dare ragione da un altro magistrato.
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