Il grido dei due marò dall'India: "Abbiamo obbedito agli ordini"

L'appello di Latorre e Girone in collegamento video con il Parlamento. Il ministro Mogherini: "Condivido il loro dolore, li rivogliamo in patria"

Il grido dei due marò dall'India: "Abbiamo obbedito agli ordini"

«Abbiamo obbedito agli ordini, ma siamo ancora qui». Il grido dei marò trattenuti in India da oltre due anni si è fatto sentire forte e chiaro il giorno della festa della Repubblica. Mentre il reggimento San Marco, il loro reparto, sfilava a Roma sui Fori imperiali accolto dagli applausi, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in collegamento video con le commissioni Difesa e Esteri di Camera e Senato dall'ambasciata a Delhi cominciavano, finalmente, ad alzare la voce. «Abbiamo obbedito agli ordini e mantenuto la parola che ci era stata chiesta e continuiamo a mantenere. Ma siamo ancora qui» ha quasi urlato Girone in divisa bianca immacolata e la sfilza di mostrine delle missioni sul petto.
Sui riferimenti all'obbedienza non ci sono dubbi: i due marò difendevano l'Enrica Lexie, una nave italiana dalla minaccia dei pirati come era stato ordinato. Il 15 febbraio 2012 dopo l'incidente in alto mare che ha provocato la morte di due pescatori la petroliera non solo è rientrata in porto. Girone ha invocato ieri che «sia riconosciuta la nostra innocenza», ma oltre due anni fa ai fucilieri di Marina fu ordinato di consegnarsi alla polizia indiana del Kerala scendendo dalla nave italiana.
Il riferimento alla parola «chiesta e mantenuta» è una stilettata all'assurdo comportamento del governo Monti, che prima aveva deciso di tenerli in patria durante un permesso e poi li aveva rimandati a Delhi. Girone, sempre a voce alta e stentorea, ha ripetuto che «sono passati più di due anni» e lanciato un appello «a non abbandonare due soldati, non Salvatore e Massimiliano, ma due soldati che potrebbero essere di qualsiasi Paese del mondo».
Il marò ha ribadito che i militari devono fare il loro dovere «sapendo di essere tutelati nelle proprie immunità funzionali». Un tema delicato che Delhi riconosce ai suoi caschi blu, ma non a Latorre e Girone. E Roma non è mai riuscita a trasformare in cavallo di battaglia. Girone ha anche auspicato «che i nostri Paesi, India e Italia dialoghino, perché il muro contro muro porta solo alla distruzione».
I parlamentari italiani stanno organizzando una nuova missione a Delhi. Speriamo che sia diversa dall'ultima volta quando non erano riusciti a incontrare quasi nessuno a causa della campagna elettorale. Adesso il nuovo governo è nelle mani di Narendra Modi, un mangia marò, ma nazionalista pragmatico che potrebbe avere la forza di risolvere il caso. Il 28 maggio ha nominato come nuovo procuratore generale, l'avvocato Mukul Rohatgi, che per due anni ha difeso i marò.
I fucilieri di Marina si sono rammaricati per non essere assieme con i commilitoni ai Fori imperiali. Fratelli d'Italia ha disertato il palco della autorità per protesta, come i grillini e ha esposto lo striscione «marò liberi» al passaggio dell'unità del reggimento San Marco.
«Le stellette sono ben salde sulle nostre spalline» ha assicurato Latorre da Delhi avanzando «un suggerimento: il dialogo. Uscendo dalle mie competenze dico che due democrazie si devono incontrare perché ci sono dei trattati firmati». E poi ha annotato amaramente: «Tutti sanno tutto, ma noi siamo ancora qui».
Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, fa sapere di «condividere il loro dolore e quello delle loro famiglie. Stiamo lavorando per riportarli in Italia il prima possibile». Lo hanno già detto innumerevoli volte i governi Monti e Letta. Renzi ha imboccato la strada dell'arbitrato internazionale, dopo due anni di decisioni contraddittorie e ondivaghe. Purtroppo il percorso non sarà breve, ma l'Italia, se mostrerà finalmente i muscoli, potrà sfruttare a pieno titolo la presidenza del semestre europeo.
Anche i familiari dei marò sono esasperati e si preparano alla manifestazione del 14 giugno a Roma.

«Vogliamo riabbracciarli da uomini innocenti quali sono» ha dichiarato Vania Girone, la moglie di Salvatore, dopo aver assistito al grido di dolore del marito in collegamento da Delhi. «Vuole che siano riconosciuti i loro diritti - ha detto la signora -. Credo sia umano».
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