MilanoA ben vedere, quanto è accaduto ieri a Milano è l'esito inevitabile degli scontri che hanno costellato negli ultimi mesi le udienze di tutti i processi a Silvio Berlusconi: durante i quali il Cavaliere non ha mai nascosto di sentirsi prigioniero di una macchina giudiziaria organizzata per stritolarlo. Di questa congiura il palazzo di giustizia di Milano è, nella visione di Berlusconi, il motore principale (anche se non l'unico: vedi Napoli). E così solo qualche cautela tattica aveva finora impedito che si tirassero le logiche conclusioni, e si andasse dritti allo scontro finale: la battaglia per portare via i processi da Milano.
Il momento della resa dei conti arriva ieri. Richiesta di rimessione, articolo 45 del codice di procedura penale. È l'unica arma che la legge concede a chi è convinto di essere processato in un tribunale e in una città in cui la sua sorte è già decisa. È il legittimo sospetto (legittima suspicione, si diceva una volta) che situazioni ambientali devastino in modo irrimediabile l'imparzialità dei giudici o dei pubblici ministeri. Portare a Brescia il processo Ruby, prossimo alla requisitoria; e portare a Brescia anche il processo d'appello per i diritti tv, dove la Procura generale ha già chiesto la conferma della condanna di Berlusconi a quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Queste sono le richieste che Berlusconi, attraverso i suoi legali, rivolge alla Cassazione, con i due ricorsi depositati ieri.
Quaranta pagine, in cui si tratteggia a forti tinte e con numerosi dettagli il quadro del pregiudizio colpevolista che sarebbe stato dimostrato da tutti i giudici che a Milano si sono occupati del Cavaliere. Ci sono le visite fiscali a raffica disposte nei giorni scorsi, dopo il ricovero al San Raffaele di Berlusconi; ci sono le ordinanze con cui una serie di impegni parlamentari e politici di Berlusconi non sono stati accolti come legittimo impedimento, e si è deciso di fare udienza lo stesso; e c'è soprattutto la sentenza con cui il 7 marzo Berlusconi venne condannato a un anno di carcere per avere fatto pubblicare sul Giornale l'intercettazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte. Di quella condanna - peraltro destinata a finire presto prescritta - a Berlusconi non è andata giù, in particolare, la decisione di non concedergli le attenuanti generiche, nonostante sia per la legge, finora, un incensurato. Solo una volontà inesorabile di chiudergli il conto per via giudiziaria, pensa il Cavaliere, giustifica un simile trattamento. E quindi parte il contrattacco, l'istanza che porta a Roma, in Cassazione, il teatro dello scontro. È una mossa rischiosa, perché se anche a Roma venisse sconfitto, Berlusconi dovrebbe prendere atto che lo scontro non è più solo con i giudici di Milano ma con la magistratura nel suo complesso.
Per intanto, però, un risultato tattico l'istanza lo porta a casa. Non ci saranno, fino a quando la Cassazione non si sarà espressa, né la sentenza per i diritti tv né quella per il caso Ruby. Il codice vieta espressamente che un processo vada a conclusione fino a quando la richiesta di rimessione non sia stata valutata e respinta. Più incerto lo scenario su cosa accadrà nel frattempo. I processi potrebbero fermarsi del tutto: lo chiederanno già stamane Ghedini e Longo nell'aula del processo per i diritti tv, ma è difficile che la richiesta venga accolta, anche perché ala Procura non è ancora stato notificato nulla.
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