
Roma e Milano. Di più: via del Quirinale e il Pio Albergo Trivulzio. Sono gli ultimi fortini dove regna, anzi regnava fino a pochi mesi fa, la legge di Affittopoli: le case agli amici degli amici. E canoni stupefacenti, sbalorditivi, tre, quattro, addirittura dieci volte inferiori a quelli che il mercato pretenderebbe. Addirittura, cento euro e spiccioli per due o tre locali con visuale da incorniciare sugli appartamenti del capo dello Stato. Può sembrare incredibile ma questo andazzo è andato avanti per trenta anni ancora, o quasi, dopo l'inchiesta del Giornale che giusto nell'estate del 1995 aveva scoperchiato lo scandalo delle abitazioni di proprietà degli enti previdenziali, affittate a prezzi da saldo nel cuore delle capitale, in posizioni strepitose e con affacci da urlo.
Niente da fare. Molto da allora e da quella storica ricognizione è cambiato, qualcosa però è rimasto come era. «Quando sono arrivato al Pio Albergo Trivulzio un paio di anni fa - racconta al Giornale il commissario Francesco Paolo Tronca - ho trovato una situazione inaccettabile. Il patrimonio dell'ente, circa mille appartamenti, era gestito con criteri a dir poco discutibili, le assegnazioni erano discrezionali, i rendimenti, in zone centrali di Milano, modestissimi».
I quotidiani catturano qualche nome: fra gli inquilini eccellenti ci sono avvocati, professionisti, e almeno un nome famoso, quello del Presidente dell'Inter Beppe Marotta che per 75 metri quadri in zona Brera sborsa solo 19mila euro l'anno. Anche se va detto che lui e gli altri vip si sono accollati le spese per decine di migliaia di euro dei lavori di manutenzione, ordinaria e straordinaria, che l'ente si è ben guardato dal fare nel corso degli anni.
Si resta sgomenti perché alla Baggina, come la chiamano i milanesi, esplose Tangentopoli con l'arresto il 17 febbraio del 1992 del presidente Mario Chiesa per una storia di tangenti e ancora prima, addirittura nel 1991, chi scrive aveva raccontato l'amichevole distribuzione degli alloggi a potenti & e amici dei potenti. Chiesa mi aveva denunciato, offrendo così inconsapevolmente ad Antonio Di Pietro altro carburante all'inchiesta che avanzava in segreto e presto sarebbe venuta allo scoperto, segnando uno spartiacque nella storia d'Italia.
Trenta anni dopo siamo ancora al punto di partenza. «Quando mi sono insediato - aggiunge Tronca - ho visto che tutto il sistema non girava come doveva. Ho bloccato in extremis la vendita di parte dell'argenteria di famiglia, due edifici situati nel cuore della metropoli, in piazza Mirabello e in piazza del Carmine. Poi ho rivoluzionato tutto il meccanismo delle locazioni, di più è stato creato un fondo cui è stato conferito tutto il patrimonio e la gestione dei beni è stata data ad una sgr, una società di gestione del risparmio, Invimit, che non risponde a noi ma al ministero dell'Economia. D'incanto è cambiato tutto e con le cifre messe in gioco dall'Inail che ha rilevato il 30 per cento delle quote del fondo, abbiamo pagato tutti i debiti con i fornitori e ora possiamo dedicarci al nostro compito primario: servire al meglio i circa mille anziani nostri ospiti e in cura nei nostri padiglioni e nelle nostre strutture di assistenza e ricovero».
A Roma in via del Quirinale arrivano invece nel 2024 le telecamere di Fuori dal coro, il programma di Mario Giordano. E l'inviata Costanza Tosi corre su e giù per scale e ballatoi che svelano scorci inediti e vertiginosi sulla vicinissima «reggia dItalia» dove vive il presidente Sergio Mattarella. I canoni sono oltre la decenza: 148 euro al mese, 137 euro al mese, pure meno in qualche caso. C' è addirittura chi non ha mai versato un euro. Nemmeno uno. E una signora ammette senza problemi: «Il Demanio ha provato a sfrattarci, ma dopo trenta o quaranta anni siano ancora qui e non è successo nulla». Un obolo simbolico, o manco quello, a fronte di valutazioni immobiliari che, incrociando toponomastica e metrature, portano molto più in alto: mai sotto i 4mila euro ogni trenta giorni.
Al Demanio sottolineano che sei situazioni spinosissime, sei sulle tredici di via del Quirinale, si sono risolte. Gli inquilini, abusivi o morosi da tempo immemorabile, se ne sono andati, gli altri resistono dietro lo scudo forse impenetrabile della «fragilità».
Sono le ultime scorie tossiche di Affittopoli. Anche il Demanio, che ha nel suo portafoglio qualcosa come 44mila appartamenti, ha voltato pagina. Ristruttura, modernizza, mette a norma palazzi di pregio, abbandonati per troppo tempo, come zattere nell'oceano, in preda alle prepotenze di chi li occupava, trascurati nella manutenzione e mai valorizzati come avrebbero meritato.
È proprio quello che scoprì il Giornale nel 1995, quando si accertò che l'Inps, l'Inail, l'Inpdap e altri enti avevano sistemato in quelle dimore sontuose, il meglio del catalogo di famiglia, una pletora di potenti, e nemmeno sapevano quale fosse la consistenza dei loro asset.
Quando il Giornale narra Affittopoli, fra l'agosto e il settembre 1995, al Ministero del lavoro c'è da pochi mesi Tiziano Treu, uno dei ministri del governo Dini. «Ne sapevo poco, mi dovetti informare di corsa, perché i cronisti sguinzagliati da Feltri - racconta ora - non mi davano tregua. Diciamo che il Giornale bussò in modo rude alla mia porta, ma le critiche erano sacrosante perché l'assegnazione degli alloggi di prestigio era una lotteria per i privilegiati. Piano piano la situazione è mutata: la parola d'ordine era ed è esternalizzare. Affidare quei beni a società di professionisti che puntano a farli rendere il triplo o il quadruplo di prima e non guardano in faccia nessuno». Esattamente come ha fatto Tronca a Milano.
Allora però le resistenze furono fortissime. Ci volle qualche giorno perché gli elenchi dei beneficiari diventassero pubblici.
Per fortuna il Giornale scovó una segretaria, Maria Pia Mignucci, che dall'interno confermó sprechi e storture. Lavorava all'Inps da 31 anni. Ma non esitò a metterci la faccia e contribuì a far saltare il banco. E a far decollare un'inchiesta che, pur fra spintoni e gomitate, ha cambiato la coscienza civile del Paese.